La moda del guanto

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Nelle forme, nei colori, nelle pieghe e nelle finiture di ogni guanto si rispecchiano i cambiamenti del gusto, delle tecniche e dei comportamenti che muovono complessivamente il progressivo fluire della moda. La varietà di modelli e materiali disponibili alla metà del Novecento ne è la prova più eclatante e misura l’attenzione che allora i sarti rivolgevano a questo ancora indispensabile accessorio, coordinandolo con l’abito e l’occasione per cui era pensato.

Per promuoverne la produzione e l’esportazione all’estero, aziende napoletane e non, collaboravano con i principali atelier e fotografi nazionali, anche nell’ambito dell’Associazione Nazionale Guantai Italiani e de La rivista del guanto italiano, creata dalla stessa Associazione nel 1963.

In questa pubblicazione specialistica, edita fino al 1973, si ritrovano i modi con cui la stampa dal decennio post-bellico stava sostenendo la moda e tutti i settori in essa coinvolti, nella consapevolezza che il suo successo era fortemente basato sul grande serbatoio di competenze e sulla grande qualità dei manufatti artigianali creati nella rete di laboratori diffusa sull’intero territorio nazionale. In tal senso, la comunicazione affida alla fotografia e alla grafica il compito di promuovere anche fabbricanti di guanti in pelle, in tessuto e a maglia, produttori ed esportatori di pelli grezze, conciate e tinte, tra i quali appaiono quasi esclusivamente nomi di aziende attive tra Napoli e provincia (Ariston, L. Bertona, Ciotola, Esposito, Etma, Gita, A. Portolano, Romanguanti, Giorgio Russo, Umberto Russo, Saici, Samia, Sogip, Rita Squillace, Tevason, Franco Vergona e molti altri), protagoniste nel loro insieme di una produzione di eccellenza della manifattura italiana.

Gli articoli e l’iconografia dimostrano che, all’inizio degli anni Sessanta, dopo il grande successo dei guanti lisci o ricamati in scamosciato nero e capretto bianco, adatti a occasioni eleganti, prendono sempre più spazio quelli corti, concepiti soprattutto per un impiego sportivo. In questa gamma, che evidenzia la sensibilità dei fabbricanti nei confronti del mutamento dei gusti e delle pratiche quotidiane del pubblico, aumenta il numero di guarnizioni e di colori e si dà spazio a combinazioni insolite. Ora, se le scarpe femminili si aprono sul tallone affidando la chiusura a un cinturino, anche i guanti prevedono aperture sul dorso della mano, chiuse da fibbie, bottoni e ganci di vari materiali. La libertà espressiva della moda negli anni del boom economico e delle rivoluzioni giovanili fa sì che questi accessori possano essere sempre più slegati dall’abito e dalle calzature, conservando, invece, criteri più rigorosi e classici per quelli inclusi nei rituali dell’alta moda. Una conversione di usi e indirizzi estetici che impegna fabbricanti e maestranze a successive modifiche tecniche; e porta ad aggiornare le modalità operative pure da parte dei fotografi, i quali non ritraggono più le modelle in scenari urbani o in suggestive ambientazioni interne, ma su fondali anonimi, privi di riferimenti a contesti geografici o architettonici precisi: sul finire del decennio, infatti, l’attenzione delle riprese viene concentrata sui nuovi dettagli e sui sofisticati accostamenti cromatici e materici.

Tuttavia, nei tempi a seguire il cambiamento degli stili di vita fa passare nell’oblio l’utilizzo di questo accessorio, offrendo all’industria della calzatura una pregiata e numerosa manodopera che, infatti, alla chiusura di molti guantifici, venne assorbita nel settore che fortunatamente per Napoli continuò ad essere di notevole consistenza e successo.

(Ornella Cirillo)

 

 

 

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