Abbattimento del COD recalcitrante: una nuova sfida per l’industria conciaria green
È da poco stato stilato un accordo di cooperazione tra la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti (SSIP) di Napoli e il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Tale accordo costituisce solo la consacrazione di quanto viene già sviluppato da un po’ di tempo tra i due Enti di ricerca.Infatti, fin dall’inizio del 2018, è partita una intensa attività di ricerca, svolta anche attraverso tesi di laurea e di dottorato in scienze chimiche, sullo studio del COD recalcitrante nei reflui conciari.
La richiesta chimica di ossigeno, COD, (Chemical Oxigen Demand) costituisce uno dei principali parametri utilizzati per valutare la qualità delle acque reflue; in particolare la misura del COD fornisce indicazioni sul contenuto di sostanza organica. Si possono distinguere due frazioni di COD:
– la frazione biodegradabile, rappresentata da tutti quei composti che vengono rimossi dalle acque reflue urbane o industriali attraverso i tradizionali processi depurativi;
– la frazione non biodegradabile, rappresentata da tutte quelle sostanze definite “recalcitranti” alla degradazione e che persistono in seguito ai comuni trattamenti adottati negli impianti di depurazione.
Un esempio di reflui, con elevati valori di COD non biodegradabile, (COD recalcitrante) è rappresentato proprio dalle acque derivanti dall’industria conciaria, e attualmente poco si sa della composizione chimica di tali sostanze.
Nel passato veniva quasi esclusivamente impiegato il processo di concia basato sui sali di cromo trivalente; tale processo è ritenuto oggigiorno di forte impatto ambientale, in ragione della tossicità e pericolosità delle varie specie del cromo. Per questa ragione sono stati sviluppati processi di concia alternativa, ad esempio “al vegetale”, che tuttavia utilizzano sostanze organiche che vengono poi rinvenute in elevate concentrazioni nelle acque di scarico degli impianti conciari.
Le acque reflue prodotte dall’industria conciaria quindi oggi rappresentano un grave problema ambientale, in quanto contengono inquinanti organici e inorganici altamente tossici e resistenti all’abbattimento (recalcitranti).
La qualità e la quantità delle acque reflue prodotte è legata a vari fattori, quali:
– il tipo di materiale grezzo;
– il prodotto finito desiderato;
– il processo di concia impiegato.
In generale, queste acque reflue sono caratterizzate da elevati valori di COD (pari a circa 30.000 mg/L) e anche da elevati valori della concentrazione totale di cromo (fino a 5.000 mg/L), e la natura e le caratteristiche degli inquinanti organici recalcitranti rimangono ancora scarsamente esplorate. Studi recenti hanno dimostrato che tali inquinanti appartengono a varie classi di composti, come:
– acidi grassi;
– derivati degli ftalati;
– derivati dell’acido benzoico;
– alchilfenoli.
È stato anche dimostrato che i trattamenti biologici sono inefficienti per l’eliminazione delle sostanze recalcitranti. Negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie alternative, quali processi di ossidazione avanzati (metodo Fenton, foto ossidazione, fotocatalisi, ozonizzazione, trattamenti elettrochimici) e processi a membrana, da integrare nei processi biologici. Tuttavia, non esiste ancora un’applicazione su larga scala di queste tecnologie emergenti.
Il progetto di ricerca in essere è teso alla caratterizzazione delle sostanze organiche che contribuiscono alla costituzione della frazione recalcitrante mediante tecniche innovative di analisi (GC-MS, LC-MS etc.), anche allo scopo di proporre trattamenti alternativi, o utilizzabili in accoppiamento ai normali trattamenti biologici, per la rimozione del COD.
Fonte: Magazine “Cuoio Pelli Materie Concianti”, CPMC, Vol.CXVI, edizione n. 1 (2020)