“Economia circolare, serve una strategia nazionale” Intervista a Federico Testa, Presidente Enea

SCENARI & STRATEGIE GREENPubblicato su CPMC 1/2021

La filiera conciaria sta investendo molto nella sostenibilità

Intervista a: Federico Testa, Presidente ENEA

 

Prima in Europa per indice complessivo di circolarità, l’Italia deve dotarsi al più presto di un piano nazionale e di risorse adeguate per
non perdere terreno. La bioeconomia è il traino di ogni economia sostenibile. Ne parliamo con Federico Testa, presidente dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, che nel
2018 ha firmato con la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli un protocollo di intesa. L’obiettivo è promuovere ricerche sui
nuovi materiali e ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi nella prospettiva dell’economia circolare.

L’ENEA coordina la Piattaforma Italiana per l’Economia Circolare, l’Icesp, che nel corso della recente conferenza annuale ha indicato le priorità di un piano di azione volto alla definizione di una strategia nazionale per l’economia circolare. Ce le potrebbe indicare?

Le nove priorità nascono per promuovere l’economia circolare come motore per la ripresa e spaziano dalla necessità di una
governance multilivello a un approccio trasversale alla formazione, dall’adeguamento del sistema infrastrutturale all’introduzione di
strumenti economici e strumenti normativi. Prioritari sono anche l’introduzione di strumenti di misurazione, quali indicatori di circolarità, l’ecoprogettazione e la creazione di un mercato dei sottoprodotti riciclati e recuperati. E poi sono essenziali processi decisionali con la partecipazione attiva di tutti gli stakeholder, iniziative di citizen engagement e citizen science.

In Italia le attività connesse alla bioeconomia valgono circa il 20% del Pil, oltre 312 miliardi per 1,9 milioni di occupati. Naturalmente non tutte le attività che appartengono a questo settore hanno lo stesso significato dal punto di vista della sostenibilità. Quali sono le più virtuose e quali le criticità da superare?

Non tutte le filiere della bioeconomia hanno lo stesso valore economico, sociale ed ambientale, così come ogni settore produttivo presenta punti di forza e di debolezza. Sono noti, ad esempio, la competitività e qualità dei sistemi agricolo, forestale e marino, che da soli rappresentano oltre il 60% del fatturato ed oltre il 70% dell’occupazione del comparto della bioeconomia a livello nazionale. Si tratta di settori che tuttavia hanno la necessità di adeguarsi a metodologie produttive che conducano a una più spinta riduzione degli scarti e dei sottoprodotti, oltre che a sfruttarne le potenzialità in termini di nuovi prodotti biobased attraverso l’utilizzo mirato delle Key Enabling Technologies. Tra le criticità, segnalo l’esigenza di raggiungere un’adeguata massa critica nei processi produttivi e di aggiornare alcune barriere normative che impediscono il reale sfruttamento industriale di diversi prodotti bio-based.

Dal rapporto sull’Economia Circolare 2020 curato da ENEA in collaborazione con il Circular Economy Network emerge la prima posizione dell’Italia nel panorama europeo per “indice complessivo di circolarità”, davanti a Paesi solitamente considerati più sensibili, come Germania e Francia.

Il Rapporto 2020 conferma che siamo ai primi posti in Europa in molti settori
dell’economia circolare. Tuttavia, l’andamento temporale degli indicatori mostra che stiamo pericolosamente rallentando e se continuiamo così, corriamo il rischio è di essere superati da altri Paesi. Servono una governance efficace, infrastrutture e impianti, maggiori investimenti nell’innovazione e, soprattutto, una Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, un Piano d’Azione e un’Agenzia Nazionale per l’Economia Circolare. Tutti strumenti che possono essere utilizzati come leve di un percorso di rilancio e
ripresa, soprattutto in questo momento in cui si deve definire il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il sistema nazionale delle concerie destina più del 4% del fatturato alla sostenibilità confermandosi uno dei settori produttivi più attenti sia sul fronte del riutilizzo dei materiali sia come su quello della neutralizzazione dell’impatto ambientale. Anche per questo nel 2020 si è nuovamente attestata al primo posto in Europa per creazione di valore, con una quota del 65% del totale della produzione. Lo si può considerare come un modello “esportabile” ad altri settori produttivi?

Il settore della conceria ha investito e investe molto in azioni per la sostenibilità ambientale, per il trattamento dei reflui, l’abbattimento delle emissioni, del consumo di acqua, il recupero dei rifiuti, l’utilizzo alternativo dei fanghi di depurazione nell’edilizia o come fertilizzanti. Certamente è un comparto che può essere da esempio per indicare come una strategia focalizzata sulla sostenibilità e sulla circolarità dei processi produttivi possa garantire il miglioramento delle prestazioni ambientali, della competitività e favorire ricadute in altri settori. In questo percorso verso la sostenibilità, ENEA collabora con la filiera conciaria per lo sviluppo di tecnologie innovative, anche attraverso progetti europei. Un esempio fra i più recenti è Lifetan per la sostituzione dei prodotti chimici con prodotti naturali e naturalizzati che consentono di ridurre l’uso di cloro e fino al 20% di acqua nelle lavorazioni.

 

 

A cura di Gaetano Amatruda, Ufficio Stampa SSIP 

 

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