Processi di ozonizzazione per la rimozione di composti recalcitranti dalle acque reflue: potenzialità e limiti
A cura di Daniela Caracciolo, Coordinatore Tecnico-Scientifico Dipartimento Tecnologie per l’Ambiente SSIP e Alessandra Cesaro Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale – Università degli Studi di Napoli Federico II
Pubblicato su CPMC 1/2022
La presenza di composti organici recalcitranti nelle acque di scarico è un rilevante problema ambientale, che interessa non
solo i reflui industriali, ma anche quelli civili, in cui è possibile rinvenire diverse tipologie di microinquinanti, spesso con proprietà di interferenti endocrini. La sostanziale inefficacia dei trattamenti convenzionali nel garantire la rimozione di tali inquinanti dalle acque ha indirizzato lo studio di processi innovativi, tra cui i processi di ossidazione avanzata (Advanced Oxidation Processes – AOPs). Tali tecniche basano la loro azione sulla generazione e l’impiego di composti altamente reattivi – i radicali – che garantiscono la degradazione anche delle specie organiche più refrattarie, senza produrre residui che richiederebbero l’identificazione di appropriate forme di gestione. I radicali sono, infatti, molecole con un numero dispari di elettroni sull’orbitale più esterno: la presenza dell’elettrone libero consente a questi composti di reagire velocemente con
delle specie che sono donatori di elettroni, come gli inquinanti refrattari delle acque di scarico. Negli AOPs, i radicali ossidrile e
solfato sono utilizzati come agenti ossidanti: il radicale ossidrile, in particolare, è la specie ossidante maggiormente utilizzata perché è molto reattivo, poco selettivo e reagisce con numerose specie, con una costante di reazione di 108-1010 M-1 s-1.
In base alla modalità di generazione delle specie radicaliche, è possibile classificare gli AOPs in: processi con reagenti chimici,
processi fotolitici e processi fotocatalitici. Nel caso dei processi che utilizzano reagenti chimici, i composti radicalici sono generati a partire da una reazione tra alcuni ossidanti, senza l’uso di agenti fisici promotori; invece, per quanto concerne i processi fotolitici, la produzione degli agenti radicalici è ottenuta dalla combinazione della radiazione UV e del visibile con i reagenti chimici. Infine, i processi fotocatalitici sono compiuti in fase eterogenea, utilizzando materiali semiconduttori, come
il biossido di titanio, che sono in grado di generare specie radicaliche se illuminati dalla radiazione ultravioletta di appropriata
lunghezza d’onda. In confronto agli altri processi di ossidazione catalitica e termica, gli AOPs presentano il sostanziale vantaggio di generare i composti radicalici a pressione e temperatura ambiente, con un notevole risparmio energetico.
In quest’ampia panoramica di processi di ossidazione delle sostanze recalcitranti ai sistemi di depurazione tradizionali, si inserisce l’ossidazione con ozono. Questa tecnologia, la cui efficienza è da tempo conclamata, risulta essere molto competitiva e di interesse anche ai fini della rimozione di sostanze coloranti all’interno dei reflui. L’ozono (O3) è un gas fortemente instabile
dal colore bluastro e dall’odore pungente, con un potenziale di ossidazione di 2,07 Volt. A causa della sua reattività, l’ozono
viene tipicamente prodotto in situ, mediante scarica elettrica (effetto corona), raggi UV, plasma oppure per via elettrolitica. Di tutte le tecniche per generare ozono, solo la scarica elettrica ne consente una produzione industriale (> 2kg/h) poiché con gli altri sistemi, l’ozono si trasforma rapidamente in ossigeno. Questa scarica elettrica scinde la molecola stabile di ossigeno per formare due radicali O, i quali possono combinarsi con le altre molecole di ossigeno per formare ozono. La concentrazione di ozono prodotta varia a seconda del gas di alimentazione: per esempio, per i generatori di ozono alimentati con ossigeno puro la gamma di produzione è pari a 6-16% wt, mentre per sistemi alimentati con aria atmosferica, meno onerosi dei precedenti sotto il profilo economico, la gamma di produzione è molto più bassa e pari a 1-4% wt.
Una volta prodotto, l’ozono viene fornito ai reflui in trattamento sotto forma di microbolle, opportunamente generate mediante diffusori collocati sul fondo di appositi reattori, così da promuovere la risalita dell’ozono nella colonna d’acqua in cui dovrà trasferirsi per agire. Le microbolle, ovvero bolle di diametro pari a 10 – 50 µm, si differenziano dalle macrobolle non solo dal punto di vista dimensionale, ma anche per le proprietà chimico-fisiche, che le rendono particolarmente adatte per i trattamenti delle acque reflue. Esse, infatti, risultano caratterizzate da bassa velocità di risalita nell’acqua, superficie con alta curvatura ed elevata area all’interfaccia gas/ liquido. Nei processi di ozonizzazione, l’utilizzo di tecnologie basate su microbolle si riflette in due vantaggi:
- maggior trasferimento dell’ozono in acqua, dovuto ad un’elevata superficie specifica delle microbolle;
- produzione di radicali idrossili per mezzo del significativo aumento della concentrazione di ioni intorno all’interfaccia
gas/liquido.
La massimizzazione del trasferimento di massa dell’ozono in acqua è, infatti, fondamentale affinché avvengano le reazioni di ossidazione da parte dell’ozono nei confronti delle forme ionizzate e dissociate dei composti organici e inorganici presenti nella matrice liquida in trattamento. La stabilità dell’ozono in acqua è influenzata da una serie di fattori, quali temperatura, pH, luce ultravioletta, concentrazione di ozono e concentrazione di antiossidanti. Nello specifico, il tasso di decomposizione è espresso mediante una pseudo equazione cinetica del primo ordine, in cui la velocità di reazione è funzione lineare del pH:
Inoltre, la decomposizione dell’ozono in acqua prevede un processo a catena, schematizzato dalle reazioni riportate in
Tabella 1, che includono step di iniziazione, step di propagazione della reazione e step di terminazione della catena. Quando l’ozono viene trasferito in soluzione, reagisce con gli inquinanti presenti nelle acque reflue sia direttamente, come ozono molecolare, che indirettamente in seguito alla formazione di radicali ossidrili (OH.) formatisi attraverso la sua decomposizione. La prevalenza delle reazioni di ozonizzazione diretta e indiretta dipendono fortemente dal pH: in condizioni acide (pH bassi),
il tasso di decomposizione dell’ozono è molto lento e trascurabile, per cui l’O3 molecolare reagisce. direttamente con le sostanze organiche e inorganiche, ossidandole. A tal proposito, studi scientifici hanno dimostrato che l’ozono molecolare reagisce facilmente con sostanze organiche quali ammine, fenoli e composti aromatici, mentre le reazioni di ossidazione
nei confronti di acidi carbossilici, aldeidi e alcoli avvengono più lentamente. Al contrario, in condizioni alcaline, la decomposizione dell’ozono in acqua favorisce la formazione di radicali idrossili che, a differenza dell’O3 molecolare, tendono ad attaccare non solo le forme ioniche e dissociate della sostanza organica, ma anche quelle neutre, essendo dotati di un potenziale redox maggiore. Le reazioni indirette dei radicali OH., inoltre, sono meno selettive, in quanto essi attaccano
sia le molecole target che i sottoprodotti delle reazioni di ossidazione, ottenendo una maggiore rimozione di sostanza organica in termini di TOC e COD. Studi scientifici hanno evidenziato che, oltre al pH, le rese di rimozione delle sostanze recalcitranti dalle acque reflue, mediante processi di ozonizzazione, dipendono anche dalla composizione degli effluenti da trattare.
Questo potrebbe essere uno dei problemi dell’applicabilità e dell’efficienza dei processi di ozonizzazione per le acque reflue reali, in quanto la conoscenza preliminare e dettagliata della composizione del refluo è fondamentale per comprendere appieno le reazioni coinvolte e il risultato complessivo del trattamento.
L’ozonizzazione, come la maggior parte dei trattamenti ossidativi, può portare alla formazione di sottoprodotti tossici a partire dalle sostanze organiche biodegradabili contenute nelle acque reflue. Indagini specifiche hanno, infatti, studiato la potenziale tossicità degli effluenti ozonizzati e ne hanno evidenziato l’aumento per dosi di ozono superiori a 5 mg/L. Tra i sottoprodotti tossici più noti e più frequentemente prodotti in seguito ai processi di ozonizzazione delle acque reflue vi sono le aldeidi. La loro formazione in reflui sottoposti a decolorazione con ozono ha indotto a proporre la rimozione di colore come un’indicazione della portata delle reazioni di ossidazione*. L’analisi dello stato dell’arte in tema di ozonizzazione sembra indicare che, tra i
processi di ossidazione avanzata, esso risulta essere una tecnologia molto promettente, anche ai fini della decolorazione dei reflui: a fronte dei costi operativi che potrebbero essere anche piuttosto elevati a causa del fabbisogno energetico e dell’eventuale impiego di ossigeno puro per la generazione dell’ozono, il processo è abbastanza semplice da operare e monitorare e non determina la produzione di fanghi da gestire. Del resto, la possibile formazione di sottoprodotti tossici rappresenta un aspetto chiave da approfondire – in relazione alle caratteristiche dei reflui in trattamento e alle condizioni
operative del processo – per promuovere la più ampia applicazione dell’ozonizzazione a scala industriale.
* V. Mezzanotte ⇑, R. Fornaroli, S. Canobbio, L. Zoia, M. Orlandi (2013). Colour removal and carbonyl by-production in high dose ozonation for effluent polishing. Chemosphere, 91:629-634.
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