L’impiego ottimizzato delle risorse energetiche, idriche e chimiche presuppone il ricorso a tecnologie sempre più avanzate

 

Intervista a Luigi Nicolais, Consigliere Scientifico SSIP

 

Articolo Comparso su CPMC 3/2022

 

 

La crisi energetica è ormai tema nazionale. Alla luce di questo tutti i settori produttivi sono convolti nella affannosa ricerca di soluzioni tecnologiche in tal senso. Vi sono modelli particolarmente virtuosi che potrebbero prestarsi meglio ad essere trasferiti trasversalmente più settori?

L’Unione Europea si prepara ad affrontare le sfide globali, socio-economiche, energetiche e ambientali con l’obiettivo di massimizzare le sinergie e la coerenza tra clima e ambiente, trasformazione digitale e competitività delle aziende.

In particolare, la crisi energetica ha generato un duplice dilemma, in quanto se da un lato è necessario investire per decarbonizzare, dall’altro i Paesi devono provvedere all’approvvigionamento di energia, anche di origine fossile, a dei costi accessibili. La strategia Europea prevede, quindi, nel lungo periodo l’approvazione di leggi che sostengono una massiccia accelerazione della transizione energetica e, nel breve termine, l’utilizzo disciplinato di combustibili fossili per la produzione di elettricità.

Paesi come la Germania hanno già annunciato che decarbonizzeranno le proprie fonti energetiche e le energie rinnovabili sostituiranno gli idrocarburi, ma nel breve periodo l’alternativa è quella di sostituire il gas naturale con il carbone (che non necessita di una infrastruttura complessa per il trasporto, come invece accade per il gas). Anche altri Paesi Europei, tra cui l’Italia, hanno annunciato piani di riavvio delle centrali a carbone, con conseguente aumento delle emissioni derivanti dalla combustione dello stesso. Si tratta di una decisione dolorosa, ma necessaria. Tuttavia, nel medio e lungo termine, le soluzioni green (veicoli elettrici, accumulo di energia pulita, ecc…) rivoluzioneranno il nostro mondo.

Ed infatti, i modelli più virtuosi che ci permetteranno di affrontare la crisi energetica, prevedono l’utilizzo dell’Idrogeno. Si tratta di un elemento che non si trova da solo in natura e che per essere prodotto ha bisogno di un contributo energetico generato da un’altra fonte. Per questo motivo, l’idrogeno è considerato un vettore energetico e non una fonte energetica, come è invece quella solare o eolica.

Soltanto l’idrogeno “verde”, ottenuto dall’acqua con un processo di elettrolisi alimentato da energia rinnovabile, è davvero a impatto zero, senza emissioni inquinanti e senza consumo di preziose risorse naturali. La comunità scientifica e tecnologica è impegnata da tempo per rendere l’idrogeno verde più facile ed economico da produrre e, grazie agli enormi progressi fatti negli ultimi anni, il traguardo sembra ormai a portata di mano. Ecco perché molti esperti ritengono prossima una nuova era energetica dell’idrogeno, che seguirà a quella del petrolio.

 

L’impiego ottimizzato delle risorse energetiche, idriche e chimiche presuppone il ricorso a tecnologie sempre più avanzate. Non tutti i settori possono tuttavia essere pronti per riconvertire le proprie infrastrutture e macchine. Quali soluzioni tecnologiche possono essere di maggiore supporto, al fine di attuare cambiamenti sostenibili per le imprese?

 

Energie rinnovabili, miglioramento del ciclo di vita dei rifiuti, soluzioni per un’economia sempre più circolare nel segno di un’Industria 4.0, mobilità elettrica: sono queste le principali tecnologie che sosterranno la transizione ecologica. Transizione che troviamo al centro della Missione 2 del PNRR, “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.

La Missione si prefigge di colmare le lacune strutturali che ostacolano il raggiungimento di un nuovo e migliore equilibrio fra natura, sistemi alimentari, biodiversità e circolarità delle risorse, in linea con gli obiettivi del Piano d’azione per l’economia circolare varato dall’Unione europea. La Missione è articolata in quattro componenti, ognuna delle quali, a sua volta, contiene una serie di investimenti e riforme. E in ogni componente troviamo i nomi delle sfide e delle tecnologie che possono essere di maggiore supporto per attuare i cambiamenti di cui il nostro Paese ha bisogno:

  • Agricoltura sostenibile ed economia circolare
  • Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile (impianti fotovoltaici innovativi, smart grid, idrogeno…)
  • Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici
  • Tutela del territorio e della risorsa idrica

 

La ricerca di base costituisce in tutti i campi il pilastro scientifico sulle cui fondamenta costruire l’evoluzione tecnologica di numerosi settori. In momenti di maggiore emergenza, tuttavia, risulta meno evidente la portata dei risultati da essa ottenuti. Come si può promuovere una maggiore integrazione tra il campo della conoscenza di base e gli imminenti fabbisogni di progresso tecnologico?

L’innovazione è un fattore essenziale per lo sviluppo del sistema Paese. Un percorso disseminato di rischi, ma anche di opportunità per le imprese che vogliono aumentare la loro competitività in un mondo caratterizzato da grandi sfide (surriscaldamento globale, desertificazione, inquinamento, emergenza energetica, aumento demografico…) e da transizioni epocali (ecologica, digitale, economia intangibile).

La dimensione di questi cambiamenti e la rapidità del progresso tecnologico che ha caratterizzato gli ultimi decenni, impongono la gestione di percorsi di Innovazione multidisciplinari ed il superamento del confine tra la scoperta scientifica (ricerca di base) e la sua applicazione (ricerca applicata).

L’Europa in generale, e l’Italia in modo particolare, può ritenersi orgogliosa delle sue eccellenze in ambito di ricerca di base. Ad esempio, negli Starting Grant dello European Research Council (ERC), il programma finanziato nell’ambito di Horizon Europe che eroga sovvenzioni a ricercatori di alto livello che operano ai confini della conoscenza e le cui scoperte possono costituire la base di innovazioni del futuro, i ricercatori italiani sono il secondo gruppo nazionale per numero di borse vinte nel 2021. Ma produrre conoscenza spesso non vuol dire fare Innovazione. Infatti, l’European Innovation Scoreboard (EIS), l’indicatore che fornisce un’analisi dei risultati dell’innovazione dei Paesi europei, ci dice che anche nel 2021 l’Italia è solo un innovatore moderato.

La ricerca di base è molto importante ed il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) Italiana, già dal 2021 ha attivato il Fondo Italiano per la Scienza (FIS) per sostenere il finanziamento di progetti di ricerca fondamentale. Per lo sviluppo della ricerca applicata, sempre nel 2021, il MUR ha all’interno del PNRR ha inserito la Missione 4 che mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza. In particolare, la Componente 2 della Missione 4 si intitola “Dalla ricerca all’impresa” e si articola in 11 investimenti raggruppati in 3 linee di intervento che coprono l’intera filiera del processo di Ricerca e Innovazione e trasferimento tecnologico. Non da ultimo, sempre il MUR ha istituito il Fondo Italiano per le Scienze Applicate (FISA), che ha stanziato 50 milioni di euro per il 2022 e ha previsto una crescita nel tempo per arrivare a 250 milioni a decorrere dal 2025, con l’obiettivo di promuovere la competitività del sistema produttivo nazionale attraverso la valorizzazione della ricerca industriale e dello sviluppo sperimentale.

Queste iniziative che l’Italia ha introdotto di recente hanno proprio l’obiettivo di colmare il gap tra la ricerca ed il mercato, facilitando di fatto il trasferimento tecnologico.

 

Il ruolo delle università e degli organismi di ricerca, la SSIP promuove occasioni di incontro, è sicuramente prioritario. Cosa fare ancora e quali ulteriori misure si possono prevedere per coinvolgere le imprese in maniera crescente nelle progettualità promosse dal mondo accademico e della ricerca?

Il modello tradizionale di piccole e medie imprese (PMI) che operano in un ambito geografico limitato (spesso rappresentato dal solo mercato regionale o nazionale) è caratterizzato da bassi livelli di innovazione, da una scarsa consapevolezza della sostenibilità e dell’importanza della tutela della proprietà intellettuale. Tale modello non è più percorribile e l’Unione Europea sta affrontando le grandi transizioni legate al clima, al digitale e alla competitività preparando il terreno affinché le nostre aziende possano affrontare le nuove sfide globali.

L’innovazione che ci permetterà di affrontare queste sfide nasce, quasi sempre, da una solida base scientifica e di ricerca e prevede investimenti importanti per poter passare da un Technology Readiness Level (TRL) basso ad un livello di maturità tecnologica alto. Questo processo, nella fase iniziale è guidato dal mondo della ricerca, ma per poter maturare e arrivare al mercato deve necessariamente coinvolgere le aziende. Uno dei meccanismi che viene maggiormente utilizzato per gestire questo processo / percorso, soprattutto nelle fasi iniziali ad alto rischio di fallimento, è lo sviluppo di progettualità congiunte, in cui il mondo accademico si confronta con le sfide tecnologiche lanciate dalle aziende.

In questo scenario, i problemi che ricorrono nella collaborazione Università-Impresa riguardano:

  1. una divergenza di interessi e dell’orizzonte temporale dei due soggetti: l’impresa vuole un output concreto, possibilmente brevettabile e valorizzabile nel breve tempo. I ricercatori, invece, hanno interesse nella pubblicazione dei risultati della ricerca e nell’approfondire gli aspetti della ricerca di base con conseguente allungamento dei tempi di esecuzione del progetto;
  2. la gestione della proprietà intellettuale: la titolarità della IP, la segretezza delle conoscenze e delle informazioni a discapito della propensione dei ricercatori a pubblicare e divulgare i risultati della ricerca.

 

Per poter migliorare ed accrescere il coinvolgimento delle imprese nelle progettualità accademiche è necessario avere una comunicazione fluida che consente di individuare tempestivamente i punti di contrasto e negoziare accordi e soluzioni vantaggiose per entrambe le parti. Inoltre, l’aspetto più importante delle collaborazioni tra Università e Impresa è la possibilità che esse abbiano una natura continuativa e non episodica, per poter produrre dei risultati soddisfacenti e dei benefici duraturi.

 

 

 

 

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