Filiera conciaria, la capacità di fondere tradizione e innovazione
Intervista a Ercole Botto Poala – Presidente Nazionale
Confindustria Moda
Moda e innovazione: il punto di vista delle imprese
Che momento sta attraversando la filiera moda italiana e quali sono le principali sfide che le imprese devono affrontare?
Il nostro settore, dopo il durissimo periodo della pandemia, ha recuperato i livelli preCovid ed è tornato a ad essere fra i principali
motori dell’economia italiana e contributori della bilancia commerciale del Paese. Fra i temi chiave che le imprese devono affrontare ci sono sicuramente la sostenibilità,
l’innovazione tecnologica, la digitalizzazione e l’internazionalizzazione: si tratta di banchi di prova fondamentali per la competitività delle aziende che, a seconda del modo in cui sono
affrontati, possono mettere il nostro settore in grande difficoltà oppure favorirlo in modo significativo. Dovremo essere capaci quindi di affrontare queste sfide lavorando in maniera
unitaria, facendoci percepire come un sistema grande, unico e compatto: potremo così continuare a valorizzare il peso e l’importanza della nostra industria della moda in tutto il mondo.
La prima sfida è la sostenibilità: quanto sono mature le imprese italiane su questo fronte? Sono fiducioso perché su questo tema, negli anni, abbiamo sviluppato in maniera naturale un approccio corretto ed efficiente. C’è però una questione da affrontare: mentre tutti parlano di sostenibilità e i consumatori si dichiarano disposti a comprare prodotti sostenibili, ciascuno continua a definire questo termine e valore a modo suo. Stiamo giocando cioè una partita senza arbitro, e questo arbitro non può che essere l’Unione europea. E’ giunta l’ora di chiarire con precisione cosa è sostenibile e cosa no, di definire a Bruxelles regole per produrre e vendere prodotti sostenibili in Europa, non si può più competere in maniera disomogenea. Chiediamo leggi uguali per tutti, altrimenti le politiche portate avanti da alcune aziende che non rispettano queste regole metteranno a rischio la nostra manifattura. Per far questo dobbiamo essere compatti per far sentire con forza a Bruxelles la nostra voce unitaria. Finora altre filiere, come ad esempio l’automotive, sono state più capaci di noi di fare lobby.
Seconda sfida: l’innovazione. Come conciliare tradizione e innovazione tecnologica in un settore come la moda che poggia da sempre sulla storia e sulla creatività la propria eccellenza mondiale?
L’industria nazionale della moda è composta oggi da circa 60.000 imprese dalla dimensione medio-piccola, per oltre 600.000 addetti complessivi. E’ una filiera di eccellenza mondiale e dalla grande tradizione che mette insieme cultura, talento e competenze, ma che non può certo dimenticare l’innovazione, una sfida che si può vincere ponendosi quotidianamente l’importanza di questo tema e alimentando le necessarie e opportune sinergie.
Come attuare concretamente l’innovazione?
Una strada vincente è sicuramente l’open innovation, fenomeno in genere portato avanti dai grandi gruppi internazionali che fatturano decine di miliardi di euro. Una strada che però, evidentemente, diventa più difficile per le aziende dalla dimensione troppo piccola come quella media italiana, per agire da sole su un mercato così complesso e per potersi creare in casa le competenze, e che proprio per questo devono quindi mettersi insieme per cavalcare l’onda. Attenzione, però: la stessa onda potrebbe però travolgere le aziende che si dimostreranno meno predisposte al
cambiamento e che non saranno in grado di rispondere in maniera corretta e adeguata alle nuove sfide.
Come aiutare allora le aziende che si dimostrano più aperte e meglio predisposte all’innovazione?
Dobbiamo riconoscere che la moda è uno dei settori che, almeno in partenza, ha meno “abbracciato” la rivoluzione digitale rispetto ad altri comparti come l’automotive, l’alimentare e la finanza. Nella nostra vita quotidiana c’è sempre più tecnologia, ma l’Italia tanto per questioni di dimensione quanto di cultura appare meno predisposta di altri a realizzare subito e di continuo l’open innovation. La moda italiana si è basata molto sinora su esclusività e unicità”, laddove la parola chiave che meglio si addice come filosofia e modello da seguire all’open innovation è l’esatto contrario e cioè “inclusività”. E questo proprio perché si è troppo piccoli o non ci sono le competenze necessarie e sufficienti, per cui bisogna innanzitutto “aprirsi” culturalmente all’innovazione e alla digitalizzazione.
Come può digitalizzarsi la moda di oggi?
Le piattaforme tecnologiche virtuali che permettono oggi di digitalizzare e personalizzare i propri prodotti sono numerose. Così come sono numerosi i touchpoint, punti elettronici di contatto che consentono di
incontrare e conoscere i clienti nei luoghi dove essi passano il tempo e acquistano. Le nuove generazioni sono multitasking e ben abituate a questo tipo di interazioni.
Quanto è diffusa fra le aziende italiane la “cultura” dell’innovazione? E cosa c’è da fare per aumentare questo grado di consapevolezza?
Quando si parla di innovazione c’è sicuramente una difficoltà culturale da affrontare. Negli ultimi anni, da quando in particolare è entrata in gioco la Cina, la produzione di mass market ha visto crescere altri Paesi rispetto al nostro, mentre noi ci siamo concentrati soprattutto sulla produzione ad alto valore aggiunto. Quando però si produce qualcosa ad alto valore aggiunto, la prima cosa da fare è stare attenti a non sprecare risorse e materie prime, perché la disattenzione nella lavorazione in questi casi costa cara e fa perdere molto valore.
Gli strumenti di aiuto e sostegno alla ricerca e all’innovazione messi oggi a disposizione delle imprese fra bandi, partenariati e altri programmi sono sufficienti? Cosa chiedete al Governo per essere messi in condizione di competere al meglio?
C’è ancora molto da fare. Abbiamo bisogno di una fiscalità amica, chiara e semplificata, per rendere conveniente investire in azienda il proprio capitale. Chiediamo con forza e determinazione la riduzione del cuneo fiscale. Facciamo ancora fatica nell’accesso ai finanziamenti a causa di una burocrazia asfissiante. Fare l’imprenditore in Italia è molto difficile: siamo predisposti a fare cose nuove e a investire, ma siamo puntualmente ostacolati da una eccessiva burocrazia che spegne il nostro entusiasmo e finisce con il prevalere, in termini di demotivazione, sull’incentivo offerto dallo strumento di aiuto. In un mercato come quello italiano, la defiscalizzazione è lo strumento che meglio può incentivare lo sviluppo del manifatturiero, perché è generale e trasversale, e fa venir fuori entusiasmo e voglia di investire. Le nostre Pmi devono essere aiutate a cogliere l’opportunità del Pnrr, e servono incentivi per l’export perché il mondo ha voglia di Made in italy ed è importante poter soddisfare questa domanda. Certo, dobbiamo anche fare un po’ di autocritica.
Quale?
L’Italia è ancora fra gli ultimi Paesi per capacità di spesa dei fondi europei, facciamo fatica ad accedervi, e questo è sicuramente un punto di debolezza, ma bisogna anche capire i piccoli imprenditori, spesso pressati dalle esigenze della quotidianità. In questo senso, anche il sistema associativo confindustriale offre numerose opportunità che bisogna stare attenti a non sprecare.
Quale ruolo può giocare in questo scenario la SSIP, in termini di supporto alle aziende del settore moda?
Il ruolo della SSIP, che può essere promotore, capofila protagonista e partner di programmi europei di ricerca, partenariati internazionali e progetti finanziati del PNRR, è un supporto assolutamente fondamentale per le nostre imprese. Senza dimenticare naturalmente la quotidiana importante attività di analisi, ricerca, innovazione, formazione, certificazione e normazione per il settore conciario che la SSIP svolge operativamente e quotidianamente. L’imprenditore deve sapere che all’interno di centri di sapere come la Stazione sperimentale per l’Industria delle pelli e delle materie concianti può avere a disposizione un patrimonio di conoscenze e servizi immenso e di fondamentale utilità. Ultimo tema, la formazione: quali sono i fabbisogni formativi delle aziende della filiera moda? il settore moda avrà bisogno di 90 mila nuovi addetti entro il 2026. Non riusciamo ancora a soddisfare la richiesta delle aziende, e abbiamo necessità di competenze artigianali, tecniche e innovative. Dobbiamo investire negli istituti tecnici e creare un maggiore dialogo con gli istituti di formazione.
Contributo apparso su CPMC II/2023
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