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Focus Scientifico: Riflettanza solare, tra colorimetria e product comfort assessment
Focus Scientifico: Riflettanza solare, tra colorimetria e product comfort assessment

La misura della riflettanza diffusa

Quando un corpo viene esposto alle radiazioni elettromagnetiche, compresa la luce visibile, esso mostra specifiche proprietà di riflessione, assorbimento e trasmissione di tali radiazioni.

 

La riflettanza (ρ) rappresenta la capacità di un oggetto di riflettere la luce ricevuta e viene espressa come un valore percentuale privo di unità di misura. La somma dei valori di riflettanza (ρ), trasmittanza (τ) e assorbanza (α) è sempre pari a 1, poiché l’energia totale che colpisce un corpo si suddivide tra queste tre componenti. Tale relazione deriva direttamente dal principio di conservazione dell’energia: una parte della luce incidente è riflessa, un’altra trasmessa e la restante assorbita.

La riflettanza può essere calcolata attraverso la formula: r = Fr / F0, dove F0 è il flusso luminoso che incide sull’oggetto e Fr è il flusso luminoso riflesso.

Esistono due modelli teorici per descrivere la riflessione della luce: il modello di riflessione perfettamente diffondente, noto anche come Lambertiano, e il modello di riflessione perfettamente speculare. Questi due modelli rappresentano situazioni limite: il primo prevede che la luce si diffonda uniformemente in tutte le direzioni dopo l’impatto, come se la superficie diventasse una fonte di luce secondaria distribuita sfericamente. Questo comportamento è tipico di materiali opachi e ruvidi. Al contrario, il modello di riflessione perfettamente speculare descrive una riflessione ordinata, in cui la luce è riflessa simmetricamente rispetto alla normale alla superficie, come avviene su superfici lucide o specchianti.

La spettrofotometria di riflettanza è la tecnica analitica che permette di misurare l’intensità di radiazione riflessa per ogni lunghezza d’onda della luce visibile e in piccoli intervalli di lunghezze d’onda ad essa contigui nel vicino infrarosso, fino a lunghezze d’onda di circa 1000/1100 nm.

 

È da notare come la radiazione ricadente nell’intervallo della luce visibile, cioè quella responsabile della colorazione della materia, abbia una energia maggiore rispetto a quella della regione dell’infrarosso. Essa, però, è più soggetta a fenomeni di riflessione e di scattering da parte dei gas atmosferici e delle particelle di polvere rispetto agli infrarossi.

Dal canto loro, le radiazioni infrarosse, incolori poiché non percepibili dall’occhio umano, avendo sia una maggiore capacità penetrante nella materia sia, soprattutto, la capacità di innescare moti vibrazionali delle molecole, sono quelle responsabili del riscaldamento dei materiali.

Lo spettrofotometro di riflettanza trova, ad esempio, applicazione nella misura del colore (colorimetria): a partire dalla curva di riflettanza è infatti possibile ricavare valori univoci con cui definire il colore della superficie di materiale interessata, e quindi di fornire un dato oggettivo di documentazione del colore di manufatti di diverso tipo. Essa permette, quindi, di condurre anche indagini su materiali sottoposti a trattamenti che possano indurre modificazioni cromatiche per misurarne l’entità e monitorarne l’evoluzione.

La misura della riflettanza della radiazione elettromagnetica con lunghezze d’onda ricadenti nel vicino infrarosso, poi, permette la rilevazione di un’altra caratteristica dei materiali, quella, cioè, di assorbire o riflettere le radiazioni che ne possono provocare il riscaldamento.

Il valore della riflettanza di un oggetto dipende in gran parte dal colore e dalle caratteristiche della sua superficie. Superfici scure tendono ad avere valori di riflettanza prossimi a 0, mentre quelle chiare possono raggiungere valori tra 0,7 e 0,85. Una finitura più ruvida della superficie, inoltre, porta tendenzialmente ad ottenere un valore maggiore della riflettanza.

Per ottenere risultati standardizzati e ripetibili le misure di riflettanza vengono effettuate con un angolo di incidenza di 8°, scelto come compromesso tra l’osservazione di riflessione diffusa e la riduzione di riflessi speculari indesiderati, che potrebbero influenzare la misurazione.

Numerose norme a livello internazionale adottano proprio misure con incidenza ad 8° per ottenere un valore che sia rappresentativo del comportamento della luce sulla maggior parte delle superfici e che è più vicino a quello che si verifica nella pratica reale.

Il risultato di una misura spettrofotometrica di riflettanza diffusa è una curva che rappresenta la percentuale di riflettanza in funzione della lunghezza d’onda ed è caratteristica delle proprietà ottiche della superficie indagata. La tecnica è puntuale, non distruttiva e applicabile in situ.

La calibrazione dello spettrofotometro nel campo di misura tra lo 0% ed il 100% di riflettanza viene effettuata misurando la radiazione ottenuta con sorgente luminosa spenta, otturatore chiuso e nessuna luce che raggiunge il rilevatore, che rappresenta una situazione di riflettanza 0, e la misurazione su uno standard di nastro bianco di teflon, il quale produce quindi uno spettro di riflettanza pari al 100%.

 

Misure della riflettanza della superficie

Nell’ambito delle norme tecniche internazionali, la norma UNI EN ISO 17502:2013 definisce un metodo per la determinazione delle proprietà di riflettanza della superficie di cuoi, anche colorati, per le radiazioni visibili e vicino infrarosso. Essa prevede la misurazione della riflettanza percentuale, alla lunghezza d’onda convenzionale di 900 nm, con uno spettrofotometro dotato di una sfera di integrazione analoga a quella descritta in precedenza. Il cuoio sottoposto a misura viene definito riflettente la radiazione solare (solare reflective leather) se la riflettanza percentuale a 900 nm risulta superiore al 55%.

Limitando la valutazione al campo del visibile, uno spettro di riflettanza mette in evidenza le caratteristiche cromatiche delle superfici dei materiali, come illustrato nella figura seguente relativa a diversi campioni di cuoio con rifinizioni di colore differente.

I cuoi con colorazione bianca, invece, riflettendo quasi tutta la luce di ogni lunghezza d’onda che incide sulla superficie, presentano una riflettanza costante e di valore elevato, come illustrato dalla figura seguente.

Nello stesso campione, la maggiore scabrezza della superficie sul lato carne rispetto al lato fiore determina una piccola variazione sulla riflettanza, verosimilmente dovuto ad un maggior fattore di scattering ed una ancora minore componente di riflessione diretta.

 

 

 

I campioni di cuoio colorati in nero con coloranti azoici tradizionali, di contro, presentano, come si osserva per i campioni A e B della figura seguente, una riflettanza praticamente prossima allo zero su tutto il range di lunghezze d‘onda.

 

 

 

È da notare che la differenza di lucentezza della superficie dei campioni A e B, uno opaco e l’altro lucido, non ne influenza la riflettanza.

I cuoi identificati con C e D nella figura precedente utilizzano rifinizioni di colore nero, come si evince dal totale assorbimento nel campo del visibile, ma che inglobano pigmenti capaci di riflettere le radiazioni del campo infrarosso, minimizzando, quindi, l’assorbimento dell’energia trasportata da tali radiazioni.

Questa caratteristica, evidentemente, incide sulla risposta termica dei materiali alla radiazione solare, influenzando tutte le caratteristiche prestazionali da essa dipendenti e determinandone il comfort termico.

Commercialmente sono disponibili diversi pigmenti che possono essere impiegati per impartire ai manufatti le caratteristiche di alta riflettanza anche nella regione dell’infrarosso ed alcuni di essi possono essere di interesse anche per il settore conciario.

In letteratura tecnica sono riscontrabili diverse tipologie di pigmenti con le caratteristiche in questione, sintetizzate nella tabella seguente.

Tipologia Composizione chimica Caratteristiche principali Applicazioni
Pigmenti neri “Cool Black” Si tratta di una forma modificata di nerofumo (carbon black) con un’elevata purezza e una struttura superficiale particolare. I pigmenti cool black sono progettati per avere un migliore riflesso della radiazione IR rispetto ai tradizionali pigmenti di nerofumo Sono costituiti da particelle di carbonio amorfo con una struttura superficiale modificata per aumentare la riflettanza IR.

Sono in genere trattati per ridurre la loro capacità di assorbimento della radiazione termica pur mantenendo l’aspetto nero.

Rispetto al carbon black convenzionale, mostrano una riflessione migliorata nell’infrarosso vicino (NIR).

 

Sono ampiamente utilizzati per superfici nere che richiedono controllo termico, come rivestimenti per veicoli e tessuti tecnici
Pigmenti a base di ossidi di ferro modificati Questi pigmenti sono basati su ossidi di ferro, come la magnetite (Fe₃O₄), ma con modifiche alla struttura cristallina e additivi per migliorare la riflettanza IR Offrono un colore scuro e possono presentare un’elevata stabilità chimica e termica.

Sono spesso dotati di un rivestimento superficiale o di una modifica interna per aumentare la riflettanza nell’infrarosso senza compromettere il colore scuro.

Rispetto ai pigmenti neri tradizionali, hanno una maggiore capacità di riflettere la luce infrarossa riducendo il calore accumulato.

 

Questi pigmenti trovano impiego nelle vernici per esterni, materiali per coperture, e in rivestimenti termoriflettenti per il cuoio
Pigmenti ceramici scuri riflettenti all’infrarosso Sono basati su ossidi ceramici complessi, come zirconati, ossidi di cobalto e ferro combinati con altri metalli Questi pigmenti sono caratterizzati da una struttura cristallina stabile, resistente al calore e alle radiazioni UV.

Offrono elevata resistenza alla degradazione chimica e meccanica.

Sono progettati per riflettere selettivamente la radiazione infrarossa, mantenendo un colore scuro visibile (nero o marrone scuro).

Utilizzati principalmente in rivestimenti durevoli e di alta qualità, come materiali da costruzione, rivestimenti per edifici, e prodotti in cuoio
Pigmenti a base di ossido di cromo modificato Derivano dall’ossido di cromo (Cr₂O₃) e possono includere modifiche per aumentare la riflettanza IR.

 

Offrono elevata stabilità termica e chimica.

Possono essere utilizzati per ottenere colori scuri con proprietà riflettenti nell’infrarosso

Utilizzati per materiali edili, rivestimenti decorativi e applicazioni che richiedono un controllo termico.

 

 

14 Novembre 2024 – a cura del Dr. Leopoldo Esposito

 

 

Focus Scientifico: Prospettive di utilizzo dell’anidride carbonica supercritica in ambito conciario
Focus Scientifico: Prospettive di utilizzo dell’anidride carbonica supercritica in ambito conciario

Il processo conciario comporta un notevole sfruttamento della risorsa idrica per le lavorazioni ad umido, dalla riviera alla concia fino alla tintura ed ingrasso. Questo comporta al contempo un’elevata quantità di acqua di processo residua da trattare per la sua depurazione. L’acqua in queste fasi è ovviamente utilizzata nei lavaggi della pelle e come solvente per trasportare i prodotti chimici al suo interno.

Molte ricerche e sperimentazioni sono state affrontate nel corso degli ultimi anni al fine di trovare un’alternativa all’acqua come solvente per queste lavorazioni al fine di limitarne l’impatto sulle risorse idriche, come l’utilizzo di solventi organici più o meno efficaci e sostenibili.

Un campo di sperimentazione ha esplorato, per lo stesso obiettivo, l’applicazione dell’anidride carbonica (CO2) supercritica.

“Una sostanza si dice essere in uno stato supercritico quando si trova in condizioni di temperatura superiore alla temperatura critica e pressione superiore alla pressione critica. In tali condizioni, le proprietà della sostanza sono in parte analoghe a quelle di un liquido (ad esempio la densità) e in parte simili a quelle di un gas (ad esempio la viscosità)”.

Fig.1 Diagramma di stato dell’anidride carbonica, dove è visibile la zona in cui si realizza lo stato supercritico (supercritical fluid).

 

La CO2 supercritica, perciò, è caratterizzata da proprietà fisiche miste tra stato gassoso e liquido, che la potrebbero rendere un ottimo ed efficace solvente apolare, per l’estrazione di soluti aventi una bassa polarità, tanto da poter essere paragonata all’esano, con capacità di solubilizzazione vicina a quella propria di un liquido ed in alcuni casi, anche superiore. In particolare, quando la pressione è pari a 80 bar e la temperatura è pari a 31 °C la CO2 si trova in fase supercritica, non più gassosa, con una viscosità inferiore a quella dell’acqua (997 kg/m³), con un alto coefficiente di diffusività e una bassa viscosità, dando così la possibilità di comportarsi come un ottimo solvente soprattutto per le sostanze organiche. Le migliori proprietà di trasporto della CO2 supercritica dimostrano come essa possa interagire molto efficacemente con un soluto rispetto a un altro comune solvente organico.

 

Temperatura (°C) Densità (kg/m3) Volume (m3) Viscosità (cP) Fase
0 961,94 0,0010396 0,10989 Liquida
20 827,71 0,0012081 0,075717 Liquida
31 679,73 0,0014712 0,05332 Supercritica

I vantaggi non sono solo nel potere solubilizzanti ma la CO2 supercritica presenta la caratteristica di essere inerte, non tossica per gli addetti ai lavori e per l’ambiente circostante. Ha un costo contenuto e dopo aver esplicato la sua funzione può essere facilmente riconvertita allo stato gassoso e riutilizzata, per esempio, nello stesso processo.

Nell’industria dell’estrazione di principi attivi liposolubili da matrici naturali, la CO2 supercritica è una tecnologia oramai consolidata soprattutto per la produzione di alimenti funzionali, o integratori e nella medicina naturale, additivi per la salute, prodotti cosmetici e applicazioni farmaceutiche.

La tecnologia della CO2 supercritica è emersa come un’importante alternativa ai processi tradizionali con solventi organici e meccanici, grazie alla sua pressione critica moderata, che permette di contenere i costi di compressione, mentre la sua bassa temperatura critica consente l’estrazione di composti termosensibili senza degradazione.

Per il trattamento di substrati, la natura dei composti da estrarre o da trasportare non è sempre e solo apolare, ma spesso vi sono composti polari d’interesse (come per altro nel processo conciario). Lo sviluppo della tecnologia ha comunque rimediato con l’aggiunta di co-solventi alla CO2 supercritica, al fine di migliorare l’affinità del fluido verso composti polari, per cui si possono utilizzare assieme solventi come l’acqua, dimostrando, cosicché, la compatibilità dei due solventi come potrebbe avvenire sulle matrici collageniche. Oltre all’estrazione supercritica con la CO2 un certo numero di altre tecnologie supercritiche viene studiato e sviluppato per altre applicazioni interessanti, come la precipitazione di composti polari (precipitazione supercritica con anti-solvente, SAS) o la separazione di composti in miscele liquide (frazionamento supercritico in contro-corrente), per l’ottenimento di composti bioattivi più puri. Perseguire la ricerca delle tecnologie con la CO2 supercritica per diversi materiali potrebbe rivelarsi un asset strategico anche per il settore della concia.

La variabilità della tecnologia, come l’effetto della pressione e della composizione della CO2 sui rendimenti, l’effetto di miscele di co-solventi diverse, la possibilità di lavorare in batch o in continuo a portate variabili, permetterebbe di modulare l’applicazione in funzione dello scopo, come quello riferito al trattamento del pellame

Nella prossima sezione esploreremo le applicazioni messe in atto in ambito conciario e valuteremo le nuove possibilità dello sfruttamento di questa promettente tecnologia nel nostro settore.

 

07/11/2024

A cura del Dr. Marco Nogarole

Focus Scientifico: Macerazioni delle pelli: obiettivi ed aspetti tecnologici
Focus Scientifico: Macerazioni delle pelli: obiettivi ed aspetti tecnologici

Il processo di macerazione delle pelli, nell’ambito dei processi di riviera propedeutici alla preparazione alla concia vera e propria ha l’obiettivo di eliminare impurità, pigmenti e parte dei grassi naturali, tessuti indesiderati ancora presenti nella pelle, quali l’elastina, con conseguente allentamento della struttura fibrosa che risulta anch’esso fondamentale per consentire l’ottimale penetrazione delle sostanze concianti, finalizzata a produrre pelli soffici e morbide.

Dal punto di vista tecnologico la macerazione è da definirsi una vera e propria digestione enzimatica, che agendo sulle fibre di elastina, provoca il rilassamento della struttura della pelle in trippa, rendendola flaccida e sgonfia.

L’applicazione di questa fase ha origini antiche, e fino all’inizio del secolo scorso era effettuata tramite l’utilizzo di sterco di cane o escrementi di uccelli; lo sviluppo di tecniche biotecnologiche ha consentito, fin dai primi anni del 1900, di sostituire completamente tale pratica rischiosa dal punto di vista batteriologico e di difficile controllo di processo, tramite l’uso di maceranti artificiali derivati a seguito dell’individuazione degli enzimi attivi nei prodotti sopra citati e progettati in considerazione delle caratteristiche delle sostanze da rimuovere. Ad esempio l’elastina resiste all’acqua bollente ed alle soluzioni fredde acide ed alcaline, ma è intaccata da enzimi proteolitici quali la tripsina o la pepsina (maceranti pancreatici), o anche da enzimi di analoga attività derivanti da colture batteriche; per le pelli ovine, caratterizzate da un più elevato contenuto di grasso naturale, sono da utilizzarsi indicati maceranti lipolitici contenenti lipasi, la cui presenza nello sterco di cane, unitamente a enzimi pancreatici, ne giustificava l’efficacia nel trattamento di tali pelli per guanteria.

In ragione del fatto che i maceranti più efficaci, ovvero i pancreatici, presentano il massimo di attività a pH compresi tra 8 e 8,5, nella pratica conciaria si è consolidato l’utilizzo di tali prodotti a valle della fase di decalcinazione, senza necessità di scaricare il bagno. Nel contempo si può regolare l’attività enzimatica anche agendo sulla temperatura che, solitamente è mantenuta tra 30 e 37 °C al fine di prevenire eventuali danni al fiore o anche alla struttura della pelle in trippa. L’azione enzimatica è ulteriormente regolata tramite l’aggiunta di sali di ammonio e altri prodotti di supporto come bentonite e/o derivati di legno. I tempi di processo, combinati con la regolazione del pH interno della pelle, consentono ulteriormente di modulare l’effetto desiderato sull’articolo: ad esempio una leggera decalcinazione e tempi di trattamento breve, fino ad 1 ora, sono finalizzati ad agire principalmente sul fiore, appiattendone la grana ed aumentandone la flessibilità.

La possibilità di regolare l’attività del macerante ed i conseguenti effetti sul fiore e sulla struttura della pelle in trippa, rende la macerazione una fase fondamentale per impartire le proprietà merceologiche desiderate del pellame finito. Solo nel caso della produzione di pellami rigidi per suole non è da effettuarsi e a parità di materiale di partenza, il processo di macerazione da eseguire per produrre pelli per differenti destinazioni (pelletteria pesante o guanteria) è differente. D’altro canto, le stesse motivazioni rendono il processo delicato e da verificare con attenzione sia per il rischio che non si possano successivamente impartire le proprietà desiderate, che per le irreversibili alterazioni del fiore che potrebbero incorrere dalla non corretta gestione operativa, tenuto anche conto che piccole variazioni di temperatura e pH agiscono drasticamente sull’attività del macerante.

A ciò si aggiunga che non esistono, ad oggi, metodi chimico-fisici di controllo dell’avanzamento del processo, ma unicamente qualitativi e/o empirici. Ad esempio, è prassi verificare la completa macerazione del pellame osservando la permanenza dell’impronta lasciata sulla pelle dalla pressione esercitata da un dito, oppure la fuoriuscita d’aria attraverso la pelle una volta formato un sacco con la stessa pelle e comprimendo l’aria all’interno. La fine del processo è effettuata per aggiunta di acqua fredda che blocca l’attività enzimatica abbassando temperatura e pH del bagno.

Lo sviluppo di biotecnologie ha consentito di mettere a disposizione del conciatore ulteriori prodotti ad azione macerante che operano in condizioni diverse da quanto sopra esposto. E’ il caso ad esempio dei maceranti di origine fungina che sono in grado di operare a pH 4-5 o le proteasi acide, che, idrolizzando le proteine a un pH basso compreso tra 2 e 4, possono trovare applicazione nel trattamento di pelli piclate o conciate, ad esempio allo stato wet-blue[1]. Nel caso di pelli importate, ad esempio, può nascere la necessità di ulteriore trattamento in quanto la struttura fibrosa del materiale in ingresso non è ben dispersa a causa di anomalie nelle fasi di riviera o di condizioni di stoccaggio o essiccazione inadeguate; ciò ostacola la rapida penetrazione e l’uniforme distribuzione uniforme dei successivi agenti post-concianti, pregiudicando la qualità della pelle finale. In questo caso non si tratta di una vera e propria macerazione, essendo l’azione comunque più blanda se paragonata agli altri tipi di enzimi, ma si può definire come rinverdimento enzimatico, effettuandosi il trattamento nelle fasi iniziali della lavorazione di pelli già piclate o conciate.

 

[1] Effect of the surface charge of the acid protease on leather bating performance, Bi Shi et al., Process Biochemistry Volume 121, October 2022, Pages 330-338

 

A cura del dott. Gianluigi Calvanese

FOCUS SCIENTIFICO: La “bronzatura” sui cuoi scuri: analisi delle cause e possibili rimedi
FOCUS SCIENTIFICO: La “bronzatura” sui cuoi scuri: analisi delle cause e possibili rimedi

Uno dei più diffusi ed indesiderati difetti dei cuoi scuri, in particolare quelli di colore nero e testa di moro, è costituito dall’alterazione della colorazione, con particolare riferimento agli effetti localizzati o diffusi di una colorazione superficiale definita con il termine “bronzatura” per il suo aspetto metallico. Numerose sono le cause che possono concorrere alla produzione di questa tipologia di difetto, in ragione della complessità della matrice e della variabilità dei processi produttivi tradizionali o innovativi utilizzati, fino al contributo indiretto di fattori ambientali e termo-climatici in grado di impattare negativamente sulle prestazioni del materiale.

I settori maggiormente interessati da questo tipo di problematiche sono quello calzaturiero e della pelletteria.

 

Per questa tipologia di articoli, l’uniformità della colorazione e la gradevolezza dell’aspetto superficiale complessivo, costituiscono requisiti fondamentali richiesti dai principali brand moda e lusso nazionali e internazionali.

Nella maggior parte dei casi la causa è da attribuire alla scarsa solidità del colorante nei confronti del pellame, e la conseguente migrazione in superficie dello stesso colorante o di componenti più o meno attive.

Il fenomeno di migrazione superficiale di componenti interni alla pelle è dovuto ad un processo di diffusione chimico – fisico, che spontaneamente veicola la fase apolare verso la superficie per effetto di incompatibilità con le fibre conciate e tinte della pelle che possiedono, invece, una carica nettamente elettrostatica interna. Trattandosi di un processo di diffusione allo stato solido, esso è naturalmente lento, cioè viene osservato nei suoi effetti solo dopo diverso tempo. Infatti, risulta di difficile riproduzione anche attraverso prove di laboratorio.

Pertanto i coloranti, apportati nelle tinture in botte e/o nelle pigmentazioni superficiali, essendo nella maggior parte dei casi costituiti da miscele di più componenti diverse possono tendere, se non adeguatamente fissati in tintura, a spostarsi col tempo differenzialmente nella sezione del cuoio.

Questo aspetto è tipico di certe pelli tipo anilina, soprattutto di colore scuro, tinte in botte con un eccesso di colorante, ovvero di rimonte che prevedono, ad esempio, l’utilizzo di coloranti cationici intermedi non ben bilanciati all’interno della miscela.

In qualche caso anche rifinizioni pigmentate possono mostrare questo tipo di problema, quando si utilizzano pigmenti organici, il cui eventuale eccesso è da riferirsi rispetto alle proprietà leganti della miscela.

 

In altri casi, il fenomeno può dipendere dalla presenza di materiali accoppiati al pellame che mostrano un’eventuale tendenza alla cessione di colore, che manifesterà incompatibilità con la pelle già tinta.

 

A ciò si aggiungono fattori/componenti secondari che possono provocare fenomeni di migrazione dei coloranti verso la superficie; ad esempio, alcuni componenti normalmente presenti nei pellami quali plastificanti e solventi, fungono da veicolo verso la superficie della sostanza responsabile della bronzatura.

In alcuni casi anche la microanalisi con sonda a raggi X dei coloranti utilizzati può rilevarsi utile nell’intercettazione del difetto. Nello specifico si riportano di seguito i risultati di una microanalisi condotta su due coloranti utilizzati per un pellame che ha manifestato successivamente il fenomeno di bronzatura.

 

 

La microanalisi con sonda a raggi X dei coloranti ha evidenziato una consistente presenza di solfato di sodio nei due coloranti.

Ciò comporta come conseguenza un’azione meno efficace da parte della parte attiva del colorante e quindi una minore penetrazione dello stesso oltre che una disuniforme distribuzione.

Le prove più adatte a prevenire questo tipo di problematiche sono:

  • le prove di solidità del colore, in particolare allo strofinio a secco e ad umido, atte ad evidenziare le caratteristiche di solidità del colorante.
  • le prove di invecchiamento che consistono in test effettuati in camera climatica in determinate condizioni di temperatura ed umidità. Questo tipo di test non sempre riproduce il difetto, se non dopo svariati giorni anche più di una settimana.

Sull’articolo finito, è possibile verificare la tendenza allo scarico del colore già semplicemente trattando il manufatto con un tessuto imbibito d’acqua, valutando l’eventuale presenza di macchie sull’articolo o di aloni colorati sul tessuto.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi il fenomeno della bronzatura è irreversibile, ovvero non esistono trattamenti definitivi che possano rimuovere la problematica dall’articolo finito, senza che essa possa ripresentarsi o che l’articolo stesso possa perdere una qualche caratteristica merceologica.

A cura della dr.ssa Roberta Aveta

17-10-2024

 

Focus Scientifico: Determinazione della temperatura di gelatinizzazione mediante l’uso del DMA
Focus Scientifico: Determinazione della temperatura di gelatinizzazione mediante l’uso del DMA

La temperatura di gelatinizzazione è la temperatura alla quale si verificano delle modifiche della struttura del collagene indotte dall’elevata temperatura raggiunte dall’acqua in cui è immerso il campione. Tale temperatura varia a seconda del sistema conciante usato.

La norma di riferimento per l’esecuzione del test è la UNI EN ISO 3380:2015 “Determinazione della temperatura di contrazione fino a 100°C”. Il metodo consiste nell’immersione in acqua di un provino fissato tra due morsetti, uno dei quali è mobile; la temperatura per norma viene aumentata fino all’ebollizione di 2°C/min con una tolleranza di 0,2°C/min. Quando il provino si contrae causa lo uno spostamento dell’indicatore che, quindi, viene correlato alla temperatura di gelatinizzazione.

Come per altri test anche in questo caso sono presenti delle criticità, come:

difficoltà nel mantenimento della velocità di riscaldamento come prescritto nella norma;
tempi di prova elevati per cuoi con elevata stabilità idrotermica (es. cuoi conciati al cromo) con conseguenti impatti sulla produttività del laboratorio. Si tenga presente che il metodo ISO 3380

prevede l’esecuzione di 4 prove ciascuna delle quali può durare fino a 40 minuti;

sistema di agitazione: se non gestito correttamente, può determinare spostamenti dell’uncinomobile con conseguenti problematiche sulla valutazione in dispositivi non automatici.

Per ovviare a questi, o altri inconvenienti ed in ottica di digitalizzazione delle attività di laboratorio, sono stati sviluppati dei metodi che prevedono l’impiego dell’analisi dinamico meccanica (DMA).Il provino è immerso in acqua e fissato a due morsetti di cui uno mobile, in modo analogo al sistema descritto nella norma UNI EN ISO 3380.

I metodi sviluppati prevedono l‘esecuzione della prova in condizioni di isostress (controllo di forza, a deformazione costante), ed isostrain (controllo di deformazione, a forza applicata costante), con la stessa rampa di temperatura prevista dal metodo: in entrambi i casi si va a determinare la temperatura di contrazione del campione. La differenza tra i due metodi consiste nel setting della prova e quindi nella risposta dello strumento.

In figura 1 è rappresentata il test eseguito in condizioni di controllo di forza: si applica una deformazione costante per tutta la durata della prova, al raggiungimento della temperatura di gelatinizzazione il dispositivo rileva un aumento della forza, dovuto allo sviluppo di tensioni interne al campione.

Figura 1: il test eseguito in condizioni di controllo di forza

In figura 2, invece, è rappresentato il test eseguito in condizioni di controllo di spostamento. In questo caso al campione viene applicato un precarico molto basso, ed al raggiungimento della temperatura di gelatinizzazione, lo strumento rileva la deformazione negativa del provino.

Figura 2: il test eseguito in condizioni di controllo di spostamento

Per quanto riguarda l’esatta determinazione del dato della temperatura di contrazione si può usare il valore onset della transizione, definita come il punto in cui la curva inizia a deviare dalla linea di base. Poiché tale punto è difficile da determinare con precisione, si preferisce usare una temperatura di onset estrapolata (più riproducibile), data dall’intersezione della linea di base estrapolata e della tangente al punto di massima pendenza, come mostrato in figura 3.

Figura 3: valore della temperatura di contrazione

I metodi descritti possono rappresentare un passo avanti per quanto riguarda la digitalizzazionedelle attività di laboratorio e consentono di superare le criticità della norma UNI EN ISO 3380. In questo caso, il test viene gestito interamente dal software dello strumento aumentando il livello di precisione rispetto alla strumentazione classica.

Bibliografia

UNI EN ISO 3380:2015 – Cuoio – Prove fisiche e meccaniche – Determinazione della temperatura di contrazione fino a 100 °C
Mascolo R., De Piano F., Calvanese G., Bilotti E., Innovative method for the determination of hydrothermal stability of leathers using DMA techniques: statistical assessment of method performance – 37th WORLD CONGRESS of the International Union of Leather Technologists and Chemists Society (IULTCS), Chengdu, China, from October 17 to 20, 2023

 

A cura del Dr. Francesco De Piano

10-10-2024

Focus Scientifico – Applicazioni del riscaldamento dielettrico in radiofrequenza nei processi di manifattura del pellame
Focus Scientifico – Applicazioni del riscaldamento dielettrico in radiofrequenza nei processi di manifattura del pellame

Il riscaldamento dielettrico (DH) di un materiale si ottiene attraverso la sua esposizione ad un campo elettromagnetico alternato di opportuna potenza.

Tale tipo di riscaldamento sfrutta la reazione di un materiale isolante (dielettrico), o avente una piccola conduttività elettrica, sottoposto all’assorbimento di energia elettromagnetica.

Un materiale umido sotto l’azione di radiazione elettromagnetica ad alta frequenza reagisce in modo diverso, in base all’energia del campo elettromagnetica applicato. Nella banda di frequenze delle microonde (MW) vengono indotti moti rotazionali sulle molecole dipolari come l’acqua, che dissipano tale energia cinetica in calore [1]. Nella banda di radiofrequenza (RF) diventa determinante, ai fini della generazione di calore, l’accelerazione indotta sugli ioni dal campo elettromagnetico, ovvero attraverso migrazione ionica in fase acquosa, alla quale si associa il contributo derivante dalla dissipazione termica dei moti di allineamento al campo elettromagnetico oscillante delle molecole d’acqua [2].

A confronto con i metodi di riscaldamento/asciugatura classici, che operano via conduzione, convezione e irraggiamento, la generazione di calore dall’interno del materiale comporta una rapida evaporazione dell’acqua e la formazione di un gradiente di pressione. Tale variazione di pressione genera uno spostamento di acqua in forma liquida e vapore verso la superficie del materiale, dando luogo ad una evaporazione più veloce ed un minore riscaldamento del materiale stesso.

Per quanto concerne lo spettro elettromagnetico (EMS), le bande di frequenza utilizzabili ai fini del riscaldamento dielettrico appartengono a due classi principali delle radiazioni elettromagnetiche, entrambe di natura non ionizzante, ovvero la Radiofrequenza (RF) e le microonde (MW).

Accordi a livello internazionale disciplinano la destinazione d’uso delle frequenze dello spettro elettromagnetico, alcune delle quali sono assegnate all’uso industriale. In particolare, per il riscaldamento dielettrico sono assegnate le seguenti frequenze e bande ISM [3]

 

 

Tipo di emissione Intervallo di Frequenza Frequenze o bande ISM
Radiofrequenza 1 – 200 MHz 13,56 MHZ, 27,12 e 40,68 MHz
Microonde 300 MHz – 300 GHz 2450 MHz + banda 896 – 915 MHz

 

Gli effetti conseguibili con le due classi di emissione non sono equivalenti: infatti, ad esempio, il grado di penetrazione all’interno dei materiali dipende dal tipo di materiale e dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente. A parità di materiale, minore è la frequenza ovvero maggiore la lunghezza d’onda, maggiore è il grado di penetrazione della radiazione, grado che si può essere quantificato con un parametro (half-power depth) che indica lo spessore di materiale in grado di ridurre del 50% l’energia dell’onda rispetto al valore incidente.

 

 

 

Essicazione pelle [4]

L’essicazione della pelle influenza in modo determinante la qualità del manufatto in cuoio, le cui proprietà fisico-meccaniche dipendono da modalità e velocità del processo di asciugatura. In generale, la ventilazione naturale, quella forzata con controllo della temperatura e dell’umidità e i sistemi in depressione costituisco un insieme di processi diffusi e spesso combinati tra loro. L’utilizzo di calore in depressione (P ≈ 200 Torr) permette una rimozione accelerata del contenuto d’acqua fino alla soglia del 15 % ÷ 20 %; un’ulteriore riduzione richiede l’applicazione di ventilazione naturale o forzata.

Nei processi di riscaldamento dielettrico la banda RF ha mostrato un’applicabilità ampia, mentre quella a frequenza maggiore (MW) ha evidenziato problemi di disuniformità, che originano surriscaldamenti locali del materiale. A favore dei processi RF gioca il fattore di perdita, la proprietà di dissipazione dell’energia in calore in un materiale soggetto a campi elettromagnetici, che permette un riscaldamento uniforme. Inoltre, il riscaldamento si modera in modo autonomo, via via che si riduce il contenuto di acqua. Il tal modo si riduce in modo consistente il restringimento del pellame.

Il processo si attua ponendo il materiale da trattare ad opportuna distanza da elettrodi, che costituiscono gli elementi di una “antenna dipolare”, collegati attraverso un sistema di adattamento di impedenza (accordo) ad una linea di trasmissione (cavo coassiale) con impedenza 50 Ω, che termina con il generatore/oscillatore a radiofrequenza (fig.2 [5])

 

 

 

 

 

 

Fig. 2 – Schema generale impianto

In fig.1 viene riportato il confronto di tempo di riduzione di umidità di un campione con le due diverse modalità, utilizzando per la parte DH-RF un apparato su scala pilota operante con potenza (massima) di 15 kW a 27,12 MHz.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig.1 – Confronto asciugatura RF Vs. sottovuoto c/ventilazione

Il processo DH-RF permette una asciugatura della pelle che non riduce la qualità generale del materiale, in termini di conservazione delle proprietà tensili, di mano e aspetto, priva di migrazioni di sostanze grasse e coloranti. Il processo è applicabile a tutti i tipi di pellame, con costi di impianto del tutto paragonabili ai processi in vuoto/ventilazione, ma con dimensioni ridotte rispetto a questi ultimi. In termini di efficienza, il riscaldamento si attua in tempi assai inferiori e l’energia viene trasferita con perdite di gran lunga inferiori ai sistemi convettivi classici.

 

Processi di rifinizione [6]

La tecnologia DH:RF si presta anche ad essere utilizzata anche nei processi di rifinizione, dove la formazione del film di rivestimento richiede la rimozione della aliquota di acqua del formulato applicato.

Il riscaldamento è selettivo, avviene dall’interno del materiale (endogeno) e interessa principalmente lo strato di coating bagnato stesso, essendo l’acqua la più suscettibile al campo elettromagnetico oscillante. Pertanto, non viene riscaldata l’intera sezione del pellame, come nel processo classico di asciugatura della rifinizione.

L’utilizzo di generatori di radiofrequenza permette di modulare in modo preciso l’entità di energia trasferita al materiale, prevenendo eventuali surriscaldamenti. Il processo a energia termica, oltre a rendere necessario il trattamento e convogliamento di masse d’aria, viene spesso associato a stadi di raffreddamento supplementari con ulteriore aggravio del dispendio energetico.

I benefici dei processi di trattamento del pellame con radiofrequenza si possono riassumere pertanto in maggiore efficienza energetica, incremento di velocità di asciugatura e mantenimento della qualità generale del prodotto finale in termini di mano del prodotto, conservazione delle proprietà tensili e assenza di restringimenti indesiderati.

 

 

A cura del Dr. Francesco De Laurentiis – 04-10-2024

 

Bibliografia

[1] J.G. Brennan “Dielectric and Osmotic Drying” The University of Reading, Reading, UK – 2003, Elsevier Science, pp. 1938-1942.

[2] Xu Zhou & Shaojin Wang (2018): Recent developments in radio frequency drying of food and agricultural products: A review, Drying Technology,

[3] “Operation of equipment or appliances designed to generate and use locally radiofrequency energy for industrial, scientific, medical, domestic or similar purposes, excluding applications in the field of telecommunications.”   ITU Radio Regulations, Section IV. Radio Stations and Systems – Article 1.15, Definition:” Industrial, Scientific and Medical (ISM) applications (of radio frequency energy)”.

[4] P. A. Balakrishnan, * N. Vedaraman, V. John Sundar, C. Muralidharan, and G. Swaminathan “Radio Frequency Heating—A Prospective Leather Drying System for Future”, Drying Technology Vol. 22, No. 8 pp. 1969-1982, 2004.

[5] Peter L. Jones & Andrew T. Rowley (1996) Dielectric Drying, Drying Technology: An International Journal, 14:5, 1063-1098,

[6] Atti del convegno AICC – F. Bressan, E. Stangherlin; S. Carlotto “La tecnologia a Radiofrequenza applicata alla rifinizione” – Officine di Cartigliano SpA.

Focus scientifico: Leather alternatives: l’uso improprio del termine cuoio nei prodotti concorrenti
Focus scientifico: Leather alternatives: l’uso improprio del termine cuoio nei prodotti concorrenti

I prodotti destinati al mercato del Fashion e quello dell’Arredo sono generalmente qualificati da due elementi principali: il design ed i materiali con cui sono costruiti. Se ci riferiamo ai materiali da rivestimento (tomaie, borse, rivestimenti di divani, sedili di automobili, ecc), il cuoio è da sempre associato ad articoli di prestigio e ad elevata qualità sia in termini di caratteristiche percepite da parte dei consumatori, che in termini di performances fisiche e meccaniche specifiche.

Negli ultimi anni, però, il settore conciario sta affrontando un periodo di parziale cambiamento di tale percezione da parte di alcune categorie di consumatori ed operatori della filiera che si sono tradotti nell’immissione sul mercato di altri materiali da rivestimento di derivazione naturale (es. funghi, ananas, mele, ecc) o da idrocarburi (es. “pelli vegane”, materiali polimerici). Prodotti che non vengono presentati solo come “nuovi materiali da rivestimento”, ma sempre sono etichettati come “cuoi alternativi / alternative leathers” o “alternativi al cuoio / Leather Alternatives”. In merito, visto l’impatto socio-economico che ciò implica, sono stati effettuati alcuni studi che hanno provato a motivare tale modifica della percezione sui prodotti in cuoio rispetto agli altri materiali. Volendo prendere un esempio esemplificativo, si consideri l’articolo pubblicato sul Journal of Textile Science & Fashion Technology (JTSFT) nel 2023: “Conoscenza delle alternative al cuoio: uno studio esplorativo: implicazioni per l’istruzione” [1]. Tale studio era finalizzato alla quantificazione del livello di conoscenza e atteggiamenti di studenti del settore del Fashion sui prodotti in cuoio e sue “alternative”, incluso di quelle etichettate come “vegane” (ovvero realizzate in materiali polimerici o come filler di materiali polimerici). I dati, raccolti in questionari, hanno sostanzialmente evidenziato la carenza di conoscenze approfondite sulle differenti tipologie di materiali da rivestimento e relativi processi produttivi, giustificando la preferenza di un materiale a rispetto ad altri attraverso generiche motivazioni sul benessere animale o sulla sostenibilità ambientale.

Posto che non si comprende la motivazione per la quale tali materiali non vengano classificati semplicemente come “rivestimenti”, ma che siano etichettati con accezione alternativa nei fatti competitiva al cuoio (leather alternatives), in molti dei casi esaminati, comunque, non sembra sia stata fatta alcuna valutazione né sul significato di “alternativo” né tantomeno sull’utilizzo della parola “cuoio” per materiali che non derivano dalla pelle animale.

Se volessimo banalmente analizzare il significato delle parole, per “alternativo” si intendono “beni concorrenti nell’offerta”, “mezzi, realtà o soluzioni a cui si può ricorrere in sostituzione di altro che venga a mancare, o che comunque si voglia o si debba scartare; o anche, più generalmente, che offre una possibilità di scelta” [2], oppure “cose che puoi scegliere di fare o avere tra due o più possibilità” [3]. Se lo riferiamo a prodotti o materie prime, questo significa che, oltre ad avere la stessa destinazione industriale, due materiali alternativi tra loro dovrebbero quantomeno competere per prestazioni e caratteristiche merceologiche.

Per quanto riguarda, invece, il termine “cuoio”, il D.Lgs 68/2020 lo definisce chiaramente come “la pelle o il pellame di un animale che ha conservato la sua struttura fibrosa originaria più o meno intatta, conciato in modo che non marcisca” [4], allineandosi alle definizioni riportate nella Direttiva Europea 94/11/CE sull’etichettatura dei materiali usati nelle principali componenti delle calzature destinate alla vendita al consumatore.

Analizzando alcuni dei tra i prodotti presenti sul mercato, esistono già materiali con la medesima destinazione d’uso del cuoio, anche se in alcuni casi non sembrano essere sempre ad esso “alternativi” (nel senso di pari percezione da parte del consumatore o di pari proprietà), ma più che altro “surrogati” o imitazioni. Nella tabella sottostante sono riportati i risultati di un’analisi comparativa eseguita nel 2021 da FILK (Germania) di alcuni dei su citati materiali da rivestimento [5]. I dati mostrano come tali prodotti, pubblicizzati come alternativi al cuoio, in realtà non siano ad esso competitivo.

In alcuni casi (es. Appleskin [6]) sia la struttura che la pellicola di rivestimento risultano contenere materiali polimerici (PET e PU) che sicuramente, totalmente o in parte, derivano da sorgenti fossili. Ad ogni modo, per il raggiungimento di molte proprietà di superficie indispensabili per l’utilizzo nel settore della moda, viene applicata una rifinizione polimerica, così come accade per molti articoli di pelle [5].

Se sul mercato in qualche modo è chiara la gamma di prodotti concorrenti con il cuoio ed i relativi monitoraggi a tutela del rispetto di etichette, norme e leggi (es. in Italia il D.Lgs 68/2020) restano criticità nel mondo della ricerca scientifica. Non è difficile, infatti, trovare papers scientifici su riviste “peer reviewed”, anche con impatto non trascurabile, riguardanti studi di nuovi materiali classificati come “leather alternative” o con il sostantivo “leather” utilizzato in modo improprio. A titolo esemplificativo, nella tabella sottostante sono riportati alcuni titoli di papers (inclusivi di fonte) che si possono trovare con semplici ricerche su internet.

ARGOMENTO / TITOLO RESEARCH INTEREST SCORE CITATIONS READS FONTE / DOI / ISBN
Fungi-derived leather (Mushroom leather) 64,6 3 6667 MycoKing 1: 1–9 (2022) www.mycoking.org
Jute–Mycelium Vegan Leather 4,4 0 110 DOI: 10.1155/2024/1304800
Leather Alternative from Natural Rubber and Pineapple Leaf Fiber (PALF Leather) 9,5 2 1008 DOI: 0.3390/su152115400
Fungal mycelium as leather alternative 18,1 18 542 DOI: 10.1016/j.susmat.2023.e00724
A Study on Different Kinds of Leathers Alternative Materials 6,4 5 264 DOI: 10.3390/su16062324
Leather alternative from bacterial cellulose (kombucha scoby leather) 8,1 2 297 DOI: 10.47413/vidya.v1i2.66
The first low-carbon and biodegradable alternative leather 16,8 21 433 DOI: 10.1186/s12302-022-00689-x
Cellulose-protein biodegradable flexible composite (leather alternative) 4,6 1 243 DOI: 10.1007/s10570-023-05547-4
Vegan Alternatives for Leather (es. cactus leather, apple leather) 0,3 0 50 ISBN: 978-3-031-65364-3
Cactus Leather in Pakistan’s Leather Industry 0,7 1 70 DOI: 10.58661/ijsse.v4i3.298
Jute fiber reinforced flexible planar composite alternative of leather 10,5 6 560 DOI: 10.1177/15589250221144015

In quasi tutti gli articoli, viene motivato l’oggetto dello studio non in termini di produzione di “nuovi materiali sostenibili” in senso assoluto, ma sempre in competizione con il “cuoio”. Cuoio che viene sempre considerato come riferimento negativo in termini di impatto ambientale, con alternative spesso etichettate come cruelity-free. Considerazioni che sono errate non solo dal punto di vista ambientale, ma anche in termini di rispetto per gli animali. Si ricorda, infatti, che il “cuoio” resta un materiale prodotto dagli scarti dell’industria alimentare e che è stato già dimostrato che la sua produzione non determina impatti differenti rispetto ai materiali concorrenti [7], molto spesso costruiti con materie prime da sorgenti fossili.

[1]          Vera Ashley. Knowledge of Leather Alternatives: An Exploratory Study: Implications for Education. J Textile Sci & Fashion Tech. 7(4): 2021. JTSFT.MS.ID.000668. DOI: 10.33552/JTSFT.2021.07.000668

[2]          https://www.treccani.it/vocabolario/alternativo/

[3]          https://www.oxfordlearnersdictionaries.com

[4]          D. Lgs 9 giugno 2020, n. 68 “Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi e la relativa disciplina sanzionatoria, ai sensi dell’articolo 7 della legge 3 maggio 2019, n. 37 – Legge europea 2018. (20G00084) (GU Serie Generale n.160 del 26-06-2020)”

[5]          Michael Meyer, Sascha Dietrich, Haiko Schulz, Anke Mondschein – Comparison of the Technical Performance of Leather, Artificial Leather, and Trendy Alternatives – Coatings 2021, 11, 226

[6]          https://www.appleskin.com/appleskin

[7]          https://ssip.it/2024/01/25/conciare-conviene-la-circolarita-della-produzione-di-cuoio/

A cura di

Ing. Rosario Mascolo – Coordinatore Tecnico-Scientfico Dipartimento Sviluppo Prodotto

Ha collaborato: Dott. Gianluigi Calvanese

Focus Scientifico: Determinazione della composizione di acidi grassi del cuoio mediante GC-MS.
Focus Scientifico: Determinazione della composizione di acidi grassi del cuoio mediante GC-MS.

La conoscenza della quantità di sostanze grasse all’interno di una pelle da destinare alla produzione di cuoio è importante sia per prevedere e gestire l’efficacia dei vari prodotti chimici aggiunti durante il processo di concia, sia per minimizzare la possibilità di avere difetti sul prodotto finito, quali ad esempio efflorescenze grasse o macchie dovute a precipitati di saponi di grasso.

La composizione della fase grassa può variare da specie a specie oltre che dipende dalla provenienza dell’animale, potendone in alcuni casi divenire una caratteristica peculiare e distintiva, anche considerando quella residua riscontrabile in un cuoio semilavorato e, in opportune condizioni, anche finito.

Una componente fondamentale delle sostanze grasse presenti all’interno della pelle è normalmente rappresentata da trigliceridi.

Struttura di un trigliceride

Un trigliceride è composto da una molecola di glicerina alla quale sono legate tre catene di acidi grassi, che possono essere anche diversi tra loro e la cui lunghezza ed il cui numero di doppi legami presenti ne determina variazioni nel comportamento chimico. Una maggiore lunghezza ne determina un maggior carattere apolare e punti di fusione iù elevati, così come un maggior numero di insaturazioni li rende più polari oltre che con una maggiore presenza di punti di attacco da parte di agenti esterni che ne possono provocare l’ossidazione o altri tipi di decomposizioni.

Strutture di alcuni acidi grassi con differenti lunghezze di catena carboniosa e numero di insaturazioni

Reazioni di idrolisi del legame che lega la parte glicerica e la parte di acido grasso fanno sì che, tra le sostanze grasse, siano inevitabilmente presenti anche acidi grassi liberi.

È proprio la composizione percentuale totale degli acidi grassi presenti in tutti i trigliceridi e negli acidi grassi liberi ad essere la caratteristica peculiare di una fase grassa saponificabile.

L’analisi delle sostanze grasse in un cuoio e la successiva determinazione della composizione degli acidi grassi, prevede una prima fase di estrazione con un solvente o miscela di solventi apolari nei quali vengono estratti gli acidi grassi liberi, le sostanze grasse insaponificabili e le sostanze grasse saponificabili.

Normalmente l’estrazione avviene utilizzando esano con un rapporto di estrazione di 1 parte di cuoio e 20 parti di solvente. Tale estrazione può essere condotta in un bagno ad ultrasuoni alla temperatura di 50°C per 60 minuti in contenitore a tenuta stagna a pareti spesse. Questo tipo di estrazione ha il vantaggio di poter lavorare con piccole quantità di solventi e di essere scalabile a piccole quantità di campione disponibile.

Estrazione di cuoio con esano

Al termine dell’estrazione, raffreddato il tutto, il solvente viene filtrato per separare i residui solidi e concentrato mediante blando riscaldamento sottovuoto con un evaporatore rotante. I trigliceridi contenuti nella fase organica apolare vengono sottoposti alla reazione di transesterificazione che ha lo scopo di liberare gli acidi grassi costituenti e convertirli in esteri metilici per renderli più apolari rispetto alla forma acida, facilitandone così la successiva separazione e caratterizzazione.

La transesterificazione è, quindi, la conversione da esteri glicerici di acidi grassi a esteri ottenuti con un altro alcol, normalmente il metanolo.

Schema della reazione di transesterificazione

La reazione di transesterificazione può essere condotta o mediante utilizzo di basi, normalmente metanolo in ambiente basico per KOH o direttamente con metilato di sodio, oppure in ambiente acido, utilizzando metanolo ed acido solforico.

Lo svantaggio dell’ambiente basico è la eventuale reazione di saponificazione di parte degli acidi grassi ottenuti che potrebbe portare alla formazione di emulsioni e rendere difficile la successiva fase di separazione e purificazione degli esteri prodotti.

Operando, invece, con metanolo in ambiente acido si ottiene, oltre alla transesterificazione dei trigliceridi, anche la trasformazione in esteri degli acidi grassi liberi.

Reazione di transesterificazione in atto;

i trigliceridi, che sono ancora solo parzialmente decomposti, creano microemulsioni in entrambe le fasi.

Reazione terminata. Il glicerolo è solubilitzzato nella parte idroalcolica mente gli esteri e gli insaponificabili sono nella fase organica. L’aggiunta di sali nella fase acquosa favorisce la rottura delle eventuali emulsioni.

 

A fine reazione la fase organica viene dibattuta diverse volte con acqua per eliminare ulteriori residui di sostanze idrosolubili per poi essere essiccata, dopo separazione dalla fase acquosa, per passaggio su sodio solfato anidro.

La tecnica di elezione per la successiva determinazione degli esteri ottenuti da sostanze grasse è la tecnica gascromatografica, che separa i componenti della miscela in base alla loro temperatura di ebollizione ed alla loro diversa affinità per un supporto attraverso il quale viaggiano e con il quale interagiscono. Essa è tradizionalmente associata alla rivelazione mediante ionizzazione di fiamma, FID, che sfrutta, ai fini della rilevazione, la combustione dei composti che mano escono dalla colonna capillare contenente il supporto atto a separare i composti. Tale tipologia di rilevazione, però, dà solo alcune indicazioni orientative sulle caratteristiche dei diversi composti che man mano fuoriescono dalla colonna di separazione e bruciano per dare il segnale, in tempi che possono dipendere dalla  dimensione e polarità delle molecole, a parità di altre condizioni sperimentali. L’unico modo di identificarlisarebbe attraverso il confronto con il tempo di uscita di un composto noto, analizzato nelle stesse condizioni cromatografiche. Questa limitazione diventa rilevante e onerosa nel caso di miscele con un numero elevato di composti, inaspettati oltre che incogniti.

Una tecnica di rilevazione alternativa che dà maggiori informazioni sui composti in esame è la rilevazione a filtro di massa che, mediante l’analisi dei frammenti molecolari ottenuti per l’impatto di elettroni sul composto in uscita dalla colonna, permette di risalire con ottima confidenza alla struttura del composto, anche mediante confronto con librerie di frammentazioni chimiche.

Separazione cromatografica di esteri metilici di acidi grassi su colonna polare SGE BP20.

Frammentazione rilevata per il picco con tempo di ritenzione di 40.19 minuti.

Identificazione del picco eluito a 40.19 minuti per confronto con libreria spettrale NIST

Quelli riportati nella tabella seguente sono i risultati ottenuti dalla procedura analitica appena descritta applicata ad un campione di cuoio ottenuto da pelle di coccodrillo. Il campione in esame ha mostrato la presenza, in concentrazioni molto più elevate rispetto ad altre specie animali, di acidi grassi insaturi e poli-insaturi a catena medio-lunga. Questa peculiare caratteristica della composizione del grasso di coccodrillo, riscontrabile anche in diverse altre fonti di letteratura scientifica, ne determina un uso diffuso in campo nutrizionale e medico.

Composizione degli esteri metilici degli acidi grassi ottenuti da sostanza grassa estratta da cuoio di coccodrillo

L’utilizzo della rivelazione post GC con filtro di massa ed il confronto con librerie spettrali ha permesso una identificazione relativamente agevole e con discreta certezza di tali composti anche senza l’iniezione di sostanze pure da utilizzare come riferimento, come sarebbe stato necessario fare nel caso di utilizzo di rilevazione FID, sebbene tale pratica non avrebbe assicurato una identificazione univoca a causa della possibilità di co-eluizione di composti con caratteristiche simili.

A cura del Dr. Leopoldo Esposito – Resp. Laboratori SSIP

20-09-2024

FOCUS SCIENTIFICO: Metal Free o Heavy Metal Free, un problema di definizione?
FOCUS SCIENTIFICO: Metal Free o Heavy Metal Free, un problema di definizione?

La concia metallica rappresenta la tecnica di stabilizzazione del collagene più diffusa; sebbene il Solfato di Cromo Basico sia il sale più utilizzato, solo il 5 % del Cromo industriale è utilizzato nel settore della concia, in quanto la maggior parte di esso è impiegato per la produzione di acciaio inox; il Cromo III è un elemento fondamentale per la nutrizione umana; normalmente il contenuto di Cr III nel suolo è 3-5 ppm; pure i tatuaggi di pigmento verde possono contenere Cromo III senza rilevare alcun rischio per la salute; tuttavia, eventuali criticità connesse alla sua possibile trasformazione in Cromo esavalente, nei pellami, rappresenta una questione non trascurabile.

Il Cromo esavalente è comunque facilmente riconvertibile a Cromo trivalente; la natura stessa, le piante, gli organismi viventi sanno adottare sistemi per la riduzione del Cr VI in piccole quantità. Il Cromo ridotto tende poi a stabilizzarsi irreversibilmente precipitando come ossido. In aggiunta, se consideriamo ad esempio, il pellame nelle tomaie o sottopiedi delle calzature, il pH acido e i microorganismi del sudore umano sono un perfetto ambiente per la riduzione dell’eventuale Cr esavalente presente, in cromo trivalente innocuo.

Anche altri matalli concianti possono avere complicazioni e vantaggi, ma siamo certi di conoscere la classificazione e distinzione fra un pellame metal free, Chrome free o Heavy metal free?

La definizione di pellame Metal-free è riportata nel punto 4.2.2.3 della norma UNI EN 15987:2015 recante le definizioni chiave per il commercio del cuoio; essa prevede che la concentrazione totale, quindi la somma delle concentrazioni di tutti i metalli concianti, Alluminio, Cromo, Ferro, Titanio e Zirconio, deve essere rilevata minore o uguale allo 0,1%, ovvero a 1.000 mg/Kg, espresso come peso sulla sostanza secca.

Ciò implica, in primis, che, nell’effettuare indagini analitiche finalizzate a verificare se un pellame sia o meno definibile quale Metal-free, è necessario procedere a determinare sia il contenuto di metalli concianti, che il contenuto d’acqua, al fine di poter calcolare la concentrazione secondo quanto richiesto dalla norma. A tal riguardo, si sottolinea la necessità di verificare che nel Rapporto di Prova emesso dal Laboratorio, i risultati siano riportati in termini di peso sulla sostanza secca, ma in tal senso aiuta la norma ufficiale per la determinazione del contenuto di metalli nel cuoio, UNI EN ISO 17072-2:2019, che stabilisce che i risultati del contenuto di metalli siano espressi unicamente in termini di concentrazione sulla sostanza secca.

Heavy Metal Free “HMF”

Non esiste una definizione di metallo pesante basata su criteri ampiamente condivisi. Si possono attribuire definizioni diverse, a seconda del contesto. In metallurgia, ad esempio, un metallo pesante può essere definito sulla base della sua densità, ovvero si definisce heavy metal coloro che hanno una densità maggiore di 5 grammi/cm3, mentre in fisica il criterio distintivo potrebbe essere il numero atomico, mentre dal punto di vista chimico o biologico sarebbe probabilmente più interessante il comportamento chimico o, appunto, biologico.

Sulla base della densità si includerebbe, nell’elenco dei metalli pesanti anche quegli elementi, come il Selenio e l’Arsenico, che non sono metalli, sebbene siano dotati di proprietà fisiche e chimiche simili a quelle dei metalli in senso stretto. Altri metalli, invece, considerati pesanti, per alcune proprietà, come il Berillio (density 1.8 g/cm3), Alluminio (2.7 g/cm3), Calcio (1.55 g/cm3) Bario (3.6 g/cm3) sono considerati leggeri.

Su queste indicazioni i metalli pesanti sono molti (vedi sotto), ma i metalli utilizzati in concia che possono considerarsi Heavy sono sostanzialmente i tre:

Cromo = 7,2 g/cm3

Ferro = 7.9 g/cm3

Zirconio 6.5 g/cm3

Non lo sono l’Alluminio (2.7 g/cm3), il Titanio (4.5 g/cm3) che hanno appunto densità inferiore a 5 grammi/cm3.

Perciò possiamo definire sostanzialmente una concia HMF come una concia Chrome Free..

Elenco dei metalli pesanti secondo la definizione della densità:

Antimony, Arsenic, Bismuth, Cadmium, Cerium, Chromium, Cobalt, Copper, Erbium, Europium, Gadolinium, Gallium, Germanium, Hafnium, Holmium, Indium, Iridium, Iron, Lanthanum, Lead, Lutetium, Manganese, Mercury, Molybdenum, Neodymium, Nickel, Niobium, Osmium, Palladium, Platinum, Praseodymium, Rhenium, Rhodium, Ruthenium, Samarium, Selenium, Tantalum, Tellurium, Terbium, Thallium, Thorium, Thulium, Tin, Tungsten, Uranium, Vanadium, Ytterbium, Zinc, Zirconium

 

A cura del Dr. Marco Nogarole

12 settembre 2024

FOCUS SCIENTIFICO: ASPETTI DI SICUREZZA CONNESSI ALL’IMPIEGO DI NANOPARTICELLE IN AMBITO CONCIARIO
FOCUS SCIENTIFICO: ASPETTI DI SICUREZZA CONNESSI ALL’IMPIEGO DI NANOPARTICELLE IN AMBITO CONCIARIO

Il crescente fabbisogno di implementazione delle caratteristiche di qualità e prestazioni tecniche dei cuoi, ha trovato in tempi recenti risposte efficaci attraverso l’impiego delle nanotecnologie; numerose sono le soluzioni sperimentate  in tal senso, a fine di conferire proprietà aggiunte al cuoio, mediante la dispersione di nanoparticelle in rifinizione, nell’ambito del Progetto SINAPSI, cofinanziato dal (ex) Ministero dello Sviluppo Economico, a valere sul Fondo per la Crescita Sostenibile – Sportello “Fabbrica intelligente”; il progetto, coordinato scientificamente dalla SSIP, ha visto in qualità di partner aziende altamente rappresentative nel campo della produzione di pelli ovi-caprine per calzature e pelletteria, come DMD SpA, capofila del progetto, nonché di aziende virtuose nella produzione pelli bovine per automotive, come LEVI Italia srl; il progetto, ha inoltre potuto contare sulla partecipazione di altri primari partner tecnici, come Assomac, Centro Ricerche Fiat e Centro di Ricerca Interdipartimentale NANO_MATES dell’Università di Salerno.

È stato particolarmente sperimentato l’impiego di NPs (nanoparticelle) di Ag, TiO2 e SiO2 in rifinizione ed è stata verificata l’efficacia di tali agenti nel migliorare significativamente diverse caratteristiche prestazionali della pelle, come evidenziato nell’ambito di precedenti lavori [1,2,3,4,6]; considerato il significativo potenziale emerso, dall’impiego ti tali approcci in rifinizione, sono stati per completezza valutati, nel contempo, gli aspetti di sicurezza connessi al loro impiego; in un recente lavoro [5], sono stati nello specifico esaminati i potenziali rischi associati all’utilizzo delle nanoparticelle per i sistemi biologici e negli ecosistemi; sono stati quindi svolti studi di approfondimento sui fattori che influenzano la tossicità e la citotossicità delle nanoparticelle comunemente adottate nella fase di rifinizione della pelle, con particolare attenzione alle nanoparticelle di Ag, TiO2 e SiO2, al fine di valutare gli effetti di queste sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. Sono stati presi in esame, allo scopo, sia fattori come l’esposizione professionale alle nanoparticelle derivanti dall’uso di nanomateriali, che le emissioni accidentali di nanoparticelle con elevato contenuto di metalli, che possono impattare sulla salute dell’operatore, attraverso inalazione, ingestione, iniezione e assorbimento cutaneo (incluso l’ingresso oculare) e in misura più o meno significativa a seconda delle caratteristiche della fase di processo; sono stati presi in considerazione, inoltre, i parametri in grado di influire sul comportamento delle nanoparticelle, e pertanto di influenzarne la tossicità/citotossicità, tra cui dimensioni, forma, stato di aggregazione, rivestimenti, funzionalizzazione superficiale, carica superficiale, struttura, composizione del materiale, dosaggio e concentrazione. Lo studio ha evidenziato, in particolare, una attenuazione della tossicità per nanoparticelle di Ag, TiO2 e SiO2 funzionalizzate con sostanze come acido citrico, acido oleico, polietilenglicole; è stata altresì riscontrato che un altro fattore cruciale che controlla l’interazione delle nanoparticelle con i sistemi biologici è la loro carica superficiale, che può essere alterata innestando polimeri con cariche diverse; in linea generale, un potenziale zeta positivo (potenziale ζ) è spesso correlato a una maggiore tossicità delle nanoparticelle rispetto a un potenziale negativo. Rispetto agli aspetti di stabilità i quantitativi di NPs impiegati nell’ambito del progetto sopra menzionato, è degno di nota che la loro incorporazione nella matrice di rifinizione e le basse concentrazioni per singola pelle (ad titolo esemplificativo, circa 6 mg di Ag NP per circa 0,6 m2 di pelle) garantiscono la conformità ai limiti tossicologici anche nell’improbabile caso di esposizione a tutte le nanoparticelle contenute in uno strato di rifinizione.

Il lavoro evidenzia in definitiva la possibilità di impiegare in sicurezza le NPs per migliorare la qualità e la  prestazione dei cuoi, fornendo spunti per la ricerca di soluzioni puntuali per migliorare la sicurezza e sostenibilità dei prodotti.

Per approfondimenti, si rimanda all’articolo completo, pubblicato sulla rivista ACS Chemical Health & Safety:

https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.chas.4c00006#:~:text=Nanoparticles%20can%20become%20potential%20hazards,substance%20can%20enter%20the%20body.

References:

  1. Florio C., Favazzi A., Trigila F., Maffei G., Loi A., Nogarole M, Lambertini V. G., Sarno M., Enabling technologies for novel generations of sustainable and smart leathers, III IULTCS EuroCongress 2022 “Rinascimento: The Next Leather Generation”, Vicenza, Italy, 18th – 20th September 2022.
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  5. Claudia Cirillo, Mariagrazia Iuliano, Davide Scarpa, Luca Gallucci, Claudia Florio, Gaetano Maffei, Andrea Loi, Maria Sarno – Nanoparticles usage in leather processing: workers safety and health ACS Chemical Health & Safety May 6, 2024, https://lnkd.in/dHXyPZ9i IF 3.0 Q1.
  6. “MULTIFUNCTIONAL PARTICLE INCLUDING TITANIUM DIOXIDE, SILVER, SILICON DIOXIDE”, Patent application n.102022000026556 – 12/22/2022, PTC/IB2023/063019/20/12/2023, OWNER: ITALIAN LEATHER RESEARCH INSTITUTE /INVENTORS: Claudia Florio, Claudia Cirillo, Eleonora Ponticorvo, Mariagrazia Iuliano, Maria Sarno.

5 settembre 2024

A cura della Dr. ssa Claudia Florio

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