Il potenziale ruolo dell’industria conciaria nell’uso sostenibile delle fonti d’energia

 

A cura di Fabio Montagnaro, Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Napoli Federico II

e Daniela Caracciolo, Dipartimento di Tecnologie per l’Ambiente e la Sostenibilità, Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti

 

 

Articolo Pubblicato su CPMC 3/2022

 

Il soddisfacimento sostenibile della “fame energetica globale” rappresenta una delle principali sfide del secolo corrente. Il pianeta conta all’incirca 8 miliardi di abitanti, con un consumo energetico annuo, espresso in termini di potenza, pari a ca. 20000 miliardi di Watt. Ad oggi, come indicato nel grafico in Figura 1, circa l’80% del fabbisogno energetico mondiale è soddisfatto da fonti fossili, il 15% da fonti rinnovabili, resto nucleare.

 

 

È evidente la necessità – su scala mondiale – di ridurre la dipendenza dalle tre fonti fossili tradizionali (carbone, petrolio, gas naturale) a favore delle fonti rinnovabili quali, ad es., energia da biomasse, solare, eolica, idrica, geotermica. Uno sforzo certamente significativo, tenendo presente:

  1. la “abbondanza pericolosa” di carbone, petrolio e gas naturale che, al di là di situazioni specifiche, rende questi materiali ancora troppo convenienti dal punto di vista energetico-economico;
  2. che ogni fonte rinnovabile (caratterizzata da indubbi vantaggi ambientali) presenta propri limiti intrinseci, quali ad es. l’intermittenza spazio-temporale di sole e vento, la non vasta disponibilità di fonti idriche e geotermiche utili, la appropriatezza dell’impiego di biomasse (es. di natura agro-alimentare) solo se si fa riferimento a materiali di scarto (altrimenti, emergerebbero aspetti etico-socio-ambientali legati a coltivazioni intensive di biomasse a discapito di coltivazioni destinate all’alimentazione umana ed animale – problema “cibo vs. combustibile”),

ma premiante sul lungo termine, in termini di equilibrio del pianeta e di condizioni di vita delle specie – inclusa quella umana – che lo popolano. La soluzione, nell’orizzonte temporale del breve/medio periodo, deve puntare alla diversificazione del portafoglio energetico in dotazione alla comunità, in parallelo alla graduale diminuzione dell’uso di fonti fossili a favore di quelle rinnovabili, anche per impoverire l’effetto generatore di tensioni geo-politiche legato all’uso di fonti fossili, cosa drammaticamente evidente nel periodo in cui questa nota viene redatta.

 

Come è noto, l’impiego di fonti fossili è il principale responsabile dell’incremento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Che ciò potesse influenzare la temperatura della Terra è un concetto già intuito, alla fine dell’800, dal chimico e fisico svedese, premio Nobel per la chimica nel 1903, Svante Arrhenius. Ciononostante, le emissioni globali di anidride carbonica a seguito di impiego di fonti fossili sono aumentate da ca. 22 Gton a ca. 36 Gton tra il 1990 e il 2021, ossia >60% in 30 anni. Sia pur con naturali oscillazioni, la concentrazione di CO2 in atmosfera prima della rivoluzione industriale (anno ca. 1760) non ha mai superato il valore fisiologico di 280 ppm, così come messo in evidenza da studi effettuati mediante carotaggi polari (si segnala, a questo proposito, il Programma Nazionale di Ricerche “ItaliAntartide”, con la Base di Ricerca “Concordia”). L’effetto antropico ha invece portato oggi la concentrazione di CO2 a valori ben superiori a 400 ppm (415–420 ppm secondo i recenti dati dell’Osservatorio di Mauna Loa, Hawaii, posto ad una quota di ca. 3400 m). Il genere umano non ha mai fatto esperienza di valori di concentrazione di CO2 in atmosfera così elevati come quelli odierni.

 

All’aumento di concentrazione di CO2 è principalmente collegato il fenomeno noto come “effetto serra”. Rispetto al 1850, la temperatura media del pianeta è aumentata di ca. 1,1°C. Maggiore temperatura (c.d. “riscaldamento globale”) significa maggiore energia in atmosfera, esaltando fenomeni quali siccità, cicloni, alluvioni, temporali, ecc. L’effetto climalterante è inoltre evidente nella desertificazione, nell’impoverimento dei ghiacciai con conseguente innalzamento del livello dei mari e riduzione delle terre emerse, e nella maggiore acidità degli oceani, con chiare alterazioni dell’ecosistema. Infine, non vanno dimenticati gli aspetti relativi ai “rifugiati climatici” provenienti da Paesi particolarmente colpiti dal cambio del clima, con annessi aspetti socio-storici, etici, economici e geo-politici.

 

La questione, benché con alterne fortune, è trattata in modo congiunto da rappresentanti politici e della comunità scientifica nelle “Conferenze delle Parti” (ad esempio, COP#3 tenutasi nel 1997 a Kyoto; COP#21 tenutasi nel 2015 a Parigi; COP#27 tenutasi nel 2022 a Sharm el-Sheikh). Le indicazioni che chiare emergono sono:

  1. promuovere l’uso di fonti rinnovabili,
  2. catturare CO2 emesso in atmosfera,
  3. incrementare l’efficienza energetica

In aggiunta al contributo che i singoli possono offrire, è necessario che il comparto produttivo si adegui sia al maggiore impiego di fonti rinnovabili, sia all’utilizzo di tecnologie efficienti, in modo tale da ridurre la quota, diretta o indiretta, di CO2 emesso nell’ambiente per unità di bene prodotto. In questo contesto, l’industria conciaria è riuscita nell’ultimo ventennio a risparmiare, sui consumi energetici, valori pari al 37%, grazie a misure di efficientamento sia impiantistico che organizzativo. I processi svolti in conceria utilizzano sia energia termica, pari nel 2020 al 51,2%, che energia elettrica, pari al 48,3%. Il complemento a 100% rappresenta la quota di consumo energetico correlata all’uso di gasolio per la logistica interna. Questi valori possono essere diversi se si considerano i dati UNIDO (United Nations Industrial Development Organization), che stima i consumi energetici in una conceria virtuale che lavora e trasforma 10 ton/giorno di pelli grezze, producendo 160 m2/ton di pelli finite per calzatura (Figura 2).

 

 

L’acquisto di energia da fonti rinnovabili nell’industria conciaria italiana, attestata da certificati di garanzia di origine, nel 2020 ha coperto una quota importante dell’energia approvvigionata, pari al 73% (Figura 3). Tali informazioni sono necessarie per la valutazione del PEF (“Product Environmental Footprint”) dei prodotti in pelle. Inoltre, come si nota dai trend degli indicatori di consumo relativi agli ultimi venti anni (Figura 3), l’industria conciaria italiana è leader a livello europeo e mondiale, per l’importante sviluppo tecnologico messo a punto anche grazie all’organizzazione a livello distrettuale, che consente di diminuire i consumi.

L’unicità e i primati dell’industria conciaria italiana passano anche attraverso l’organizzazione in distretti, con la connessa possibilità di effettuare trattamenti di recupero di scarti, sia per produrre nuove materie prime che per il recupero energetico. Grazie ai processi di ‘rendering’, ovvero la raccolta e la lavorazione di sottoprodotti di origine animale, le aziende valorizzano gli scarti dando loro una seconda vita; una possibile via di riutilizzo dei grassi animali è la produzione di biodiesel. Considerando che da 1 m2 di pelle si ottengono 0,77 kg di SOA (sottoprodotti di origine animale), e considerando che una conceria media che processa 60–70 ton/mese di pelle produce mensilmente 12–15 ton di rifiuti di questa tipologia, si può osservare il potenziale di recupero energetico in questo settore.

 

Una delle soluzioni che permette di massimizzare lo sfruttamento delle energie rinnovabili è costituita dalle c.d. Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE), con l’obiettivo di disciplinare la promozione delle fonti rinnovabili. Per CER s’intende un’associazione tra cittadini, attività commerciali e industriali, pubbliche amministrazioni, piccole e medie imprese, che decidono di dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. Questo potrebbe essere un futuro sviluppo distrettuale delle aziende conciarie, che negli ultimi anni hanno visto aumentare i costi energetici come indicato in Tabella 1.

 

 

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