Il Cromo Esavalente nelle pelli: aspetti normativi e mitigazione del rischio

 

 

Con l’emanazione del Regolamento N. 301/2014 della Commissione UE, a far data dal 1 Maggio 2015, gli articoli in cuoio, o con parti in cuoio, che vengono a contatto con la cute non possono essere immessi sul mercato se contengono Cromo VI in concentrazioni pari o superiori a 3 mg/kg (0,0003 % in peso) sul peso totale secco del cuoio. Il Regolamento modifica così il punto la voce 47 dell’Allegato XVII del Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACh), recependo quanto già presente in leggi di carattere nazionale (vd. Germania), norme volontarie e capitolati tecnici.

Sebbene i composti del Cromo Esavalente siano noti per la relativa classificazione come cancerogeni, la restrizione proposta riguarda il rischio di sensibilizzazione cutanea indotto dal contatto diretto o indiretto della cute con articoli in cuoio o articoli con parti in cuoio contenenti cromo VI. Nei soggetti già sensibilizzati tale contatto può provocare una risposta allergica anche a concentrazioni inferiori rispetto a quelle necessarie all’induzione di detta sensibilizzazione.

E’ importante sottolineare come il limite posto dal Regolamento derivi direttamente dal riconoscimento che l’unico metodo di analisi attualmente disponibile e riconosciuto a livello internazionale in grado di rilevare la presenza di Cromo VI nel cuoio e negli articoli in cuoio è quello descritto nella norma EN ISO 17075. Infatti il requisito normativo di 3 mg/Kg corrisponde al limite di rilevabilità della citata metodica.

L’analisi del Cromo Esavalente nei pellami secondo la norma della famiglia EN ISO 17075 prevede due modalità di rilevazione differenti della soluzione analitica preparata ponendo a contatto sotto agitazione, il campione di pelle tagliato in piccoli pezzetti, con una soluzione di tampone fosfato a pH compreso tra 7,5 e pH 8,0. Tale condizione di estrazione rappresenta il risultato di un’attività di ricerca che ha visto coinvolti tutti gli Istituti di Ricerca sul cuoio presenti in Europa nel 2000 in un progetto denominato CHROME-6-LESS. La motivazione che sottendeva tali attività di ricerca era che dal momento in cui la maggior parte dei pellami risulta prodotta utilizzando, come concianti, sali di Cromo trivalente, la cui concentrazione può raggiungere, in un cuoio, valori superiori all’4% (40.000 mg/Kg), ai fini della determinazione del Cromo Esavalente si rendeva necessario ottimizzare le condizioni analitiche in ragione da evitare la formazione del Cromo Esavalente indotta dalla procedura analitica e dalla presenza di grandi quantità di Cromo trivalente. La condizione di pH pari a 8, unitamente ad altri accorgimenti analitici mirati ad ottimizzare la rilevabilità del Cromo Esavalente nella soluzione analitica, è stata quella che si è riscontrata ottimale per minimizzare il rischio di falsi positivi.

Dal 25 marzo 2014, data di pubblicazione del Regolamento, la disponibilità di metodi di prova si è leggermente evoluta, coerentemente con l’approfondimento tecnico scientifico inerente alla conoscenza del meccanismo di formazione del cromo esavalente e delle condizioni che la favoriscono.

Esistono attualmente due metodi ufficiali distinti per l’analisi del contenuto di Cromo VI all’interno del cuoio:

  • EN ISO 17075-1:2017 – metodo colorimetrico, in cui il Cromo VI estratto viene fatto reagire con 1,5-difenilcarbazide (DPC) per produrre un complesso Cr(III)-1,5-difenilcarbazone, che può essere analizzato fotometricamente a 540 nm. Al fine di ottenere una maggiore sensibilità, ovvero un limite di rilevabilità coerente con il requisito legislativo, il metodo prevede l’utilizzo di celle spettrofotometriche da 40 mm, oltre che la necessità di decolorare la soluzione tramite cartuccia SPE;
  • EN ISO 17075-2:2017 – metodo cromatografico in cui il Cromo VI viene estratto da un campione di pelle con una tecnica identica al metodo colorimetrico. La soluzione di estrazione viene sottoposta a cromatografia ionica con una colonna a scambio anionico seguita da rivelazione spettrofotometrica UV-visibile . Il Cromo VI eluito può essere rilevato con due tecniche separate: analisi fotometrica diretta dello ione cromato a 372 nm o reazione post-colonna con DPC, determinazione del complesso Cr(III)-1,5-difenilcarbazone a 540 nm .

Tale metodologia consente di rendere la rilevazione indipendente dalla colorazione dell’estratto e, per questo, sebbene entrambi i metodi siano utilizzabili per le verifiche di cui all’Allegato XVII del REACh, si sottolinea che il metodo EN ISO 17075-2:2017  è da ritenersi di riferimento nel caso di confronto con valori ottenuti con il metodo EN ISO 17075-1:2017. In ogni caso, diverse prove interlaboratorio hanno consentito di verificare che, nelle condizioni sopra descritte, entrambi i metodi presentano un valore pari a 3 mg/Kg quale limite di quantificazione, ovvero quale minimo valore di accordo tra diversi laboratori statisticamente provato.

In ragione delle richieste del mercato e dell’evidenza che la formazione del Cromo esavalente fosse favorita dalla presenza di aria a bassa umidità, elevato pH e fonti di calore, è stato successivamente introdotto il metodo di prova EN ISO 10195:2018 Cuoio – Determinazione chimica del contenuto di cromo (VI) nel cuoio – Pre-invecchiamento termico del cuoio e determinazione del cromo esavalente, che prevede l’esecuzione di un invecchiamento per 24h a due condizioni alternative per obiettivo, ma comunque caratterizzate dall’applicazione di temperatura e bassa umidità, prima dell’esecuzione della procedura analitica. Come specificato nello scopo del metodo, l’invecchiamento non simula alcuna condizione reale che si verifica durante la produzione o l’uso delle pelli, e, in ogni caso, tale procedura non può essere utilizzata per valutare la conformità all’Allegato XVII del REACh.

Come già accennato, l’introduzione del requisito nel Regolamento REACh ha recepito quanto già presente in leggi di carattere nazionale (vd. Germania), norme volontarie e capitolati tecnici, a testimonianza che la gestione della formazione del Cromo Esavalente nelle lavorazione conciaria è stata affrontata in passato ed è tematica di continuo interesse. Se da un lato ciò comporta un continuo aggiornamento delle succitate norme in sede di Commissione CEN/TC 289, al fine di migliorarne le performance e rispondere alla volontà di imporre requisiti sempre più stringenti, dall’altro diverse attività di ricerca e trasferimento tecnologico hanno riguardato e continueranno ad avere come obiettivo la mitigazione del rischio di formazione del Cromo Esavalente nel processo conciario.

Il già citato progetto CHROME-6-LESS, già nel 2000, aveva sviluppato, sulla base di risultanze scientificamente provate, una serie di efficaci raccomandazioni per evitare la formazione di Cromo Esavalente nelle pelli. Successivamente, in ragione delle variazioni di processo nonché delle richieste derivanti da mercato, la SSIP ed il POTECO hanno attivato uno studio comune denominato Influenza dei parametri chimici e fisici sulla generazione del Cromo esavalente e sviluppo di sistemi di contenimento, il cui scopo è stato quello di verificare la possibilità di formazione del cromo VI delle pelli finite in funzione dei parametri operativi delle fasi di riconcia tintura ed ingrasso, sia dopo la lavorazione che a seguito di diversi tipi di condizionamento artificiale, basati sull’utilizzo di calore, umidità e radiazione UV. Come risultato di tale indagine, oltre all’approfondimento della conoscenza sui meccanismi di formazione del Cromo esavalente a seguito dell’invecchiamento artificiale, si sono ottenute informazioni utili allo sviluppo di adeguati sistemi di contenimento di tale tendenza, tramite l’individuazione di alcune specie e prodotti chimici, non hanno evidenziato influenza negativa sulle proprietà merceologiche dei pellami prodotti.

Tali studi, i cui risultati sono stati propedeutici anche all’attività di Normazione, possono essere considerati ancora attuali per suggerire e trasferire, alle imprese conciarie, strategie di mitigazione del rischio della formazione di Cromo Esavalente nelle pelli finite, anche quando posti ad invecchiamento artificiale.

 

A cura di 

Dott. Gianluigi Calvanese
Responsabile Area Analisi, Certificazione e Consulenza

 

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