Sep 25 2025
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DA CPMC – Xoccato (Pres. Camera Commercio Vicenza): “Il Made in Italy tra tradizione e innovazione”
Quello che stiamo attraversando è un momento particolarmente ricco di tensioni per il commercio internazionale, sia per la situazione geopolitica mondiale, sia per il repentino cambiamento di quelli che sembravano equilibri ormai consolidati. Mai come oggi, dunque, per le imprese è importante guardare al futuro, anticipandolo.
Ma come si conserva in questo paradigma il concetto di “tradizione” per il made in Italy?
«Uno dei maggiori fattori vincenti delle imprese italiane in generale, e vicentine in particolare, è quello di offrire produzioni di qualità con taglio sartoriale. La limitata strutturazione delle imprese permette infatti di avere una flessibilità e un’attenzione al cliente impossibile per imprese più grandi e impostate per produzioni di massa. L’auspicato aumento della dimensione aziendale e della produttività del lavoro non può andare a discapito di questa caratteristica che non va persa ma semmai rafforzata. La tradizione del Made in Italy come qualità e attenzione al cliente è un punto di partenza per riflettere sull’innovazione in senso ampio».
Alla crisi si risponde con la ricerca e l’innovazione: in che termini questa può agevolare una nuova visione d’impresa?
«Il sistema economico sta affrontando una transizione legata ad almeno quattro fattori: digitale, ecologica, demografica e dei mercati internazionali. Le prime due transizioni sono collegate ad una trasformazione interna alle imprese in termini di efficientamento non solo dei processi, ma anche dei rapporti con la pubblica amministrazione, con i clienti e con i fornitori; fondamentale è inoltre il rapporto con la comunità dove si opera. È necessario infatti che emerga un’immagine legata ai processi di sostenibilità che possa rendere le imprese non solo “non sgradite” ai cittadini ma attrattive per i talenti del proprio territorio e di altre aree. Questo aspetto si lega alla transazione demografica (il progressivo assottigliamento della disponibilità di persone in età da lavoro) e alla conseguente ricerca di personale: i lavoratori dovranno e vorranno infatti operare in un ambiente aziendale capace di dare una risposta alle esigenze di rispetto del territorio e del bilanciamento tra tempo di vita e tempo di lavoro. Ultimo tema è quella dell’evoluzione dei mercati: stiamo assistendo da un lato all’esigenza di ridurre la lunghezza della filiera di approvvigionamento (dopo i problemi nel periodo della ripartenza post-Covid e le tensioni su vari scenari internazionali) e dall’altro a forme sempre più aggressive di protezionismo. Occorre quindi innovarsi anche dal punto di vista commerciale trovando nuovi mercati e diversificando i canali distributivi».
La filiera conciaria è legata ad altri settori: come trainare l’intero sistema made in Italy verso la sostenibilità?
«La pelle è un semilavorato utilizzato in molteplici settori e non sempre è facile far passare il messaggio che la materia prima conciata italiana ha un valore superiore a quella realizzata in altri paesi perché la produzione, oltre ad essere di qualità, è rispettosa dell’ambiente e dei lavoratori. Probabilmente occorrerà giungere ad accordi di filiera per valorizzare la pelle conciata in Italia e per non disperdere lo sforzo di sostenibilità intrapreso dalle nostre aziende rispetto alle trasformazioni realizzate da altre imprese con processi meno attenti all’ambiente e alle comunità. L’attività deve essere tuttavia duplice, perché senza il coinvolgimento delle imprese a valle della f iliera ma anche senza la comunicazione verso il consumatore si rischia di non raggiungere l’obiettivo della valorizzazione dei risultati ottenuti dal settore in termini di sostenibilità e di innovazione».
Riusciamo ancora a difendere l’eccellenza manifatturiera o serve ripensare anche il modo in cui comunichiamo il nostro prodotto al mondo?
«Il Made in Italy ha ancora un fascino che il mercato riconosce, certo non bisogna “sedersi sugli allori”. Come anticipato, per un settore come quello della concia occorre fare uno sforzo ulteriore perché non si tratta di un prodotto finito. Una comunicazione, accompagnata magari da marchi d’area, deve quindi coinvolgere anche le industrie dell’automotive, dell’arredamento, degli accessori moda. Per queste industrie deve essere un valore poter affermare che i loro prodotti sono realizzati con pelle conciata in Italia e questo deve essere un “plus” riconosciuto anche dal consumatore finale. La qualità e il valore del “cuoio italiano” vanno comunicati all’interno della filiera e verso il mercato finale: è una sfida più difficile rispetto a quella di altri settori ma che può essere vincente».
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