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Focus scientifico: Leather alternatives: l’uso improprio del termine cuoio nei prodotti concorrenti
Focus scientifico: Leather alternatives: l’uso improprio del termine cuoio nei prodotti concorrenti

I prodotti destinati al mercato del Fashion e quello dell’Arredo sono generalmente qualificati da due elementi principali: il design ed i materiali con cui sono costruiti. Se ci riferiamo ai materiali da rivestimento (tomaie, borse, rivestimenti di divani, sedili di automobili, ecc), il cuoio è da sempre associato ad articoli di prestigio e ad elevata qualità sia in termini di caratteristiche percepite da parte dei consumatori, che in termini di performances fisiche e meccaniche specifiche.

Negli ultimi anni, però, il settore conciario sta affrontando un periodo di parziale cambiamento di tale percezione da parte di alcune categorie di consumatori ed operatori della filiera che si sono tradotti nell’immissione sul mercato di altri materiali da rivestimento di derivazione naturale (es. funghi, ananas, mele, ecc) o da idrocarburi (es. “pelli vegane”, materiali polimerici). Prodotti che non vengono presentati solo come “nuovi materiali da rivestimento”, ma sempre sono etichettati come “cuoi alternativi / alternative leathers” o “alternativi al cuoio / Leather Alternatives”. In merito, visto l’impatto socio-economico che ciò implica, sono stati effettuati alcuni studi che hanno provato a motivare tale modifica della percezione sui prodotti in cuoio rispetto agli altri materiali. Volendo prendere un esempio esemplificativo, si consideri l’articolo pubblicato sul Journal of Textile Science & Fashion Technology (JTSFT) nel 2023: “Conoscenza delle alternative al cuoio: uno studio esplorativo: implicazioni per l’istruzione” [1]. Tale studio era finalizzato alla quantificazione del livello di conoscenza e atteggiamenti di studenti del settore del Fashion sui prodotti in cuoio e sue “alternative”, incluso di quelle etichettate come “vegane” (ovvero realizzate in materiali polimerici o come filler di materiali polimerici). I dati, raccolti in questionari, hanno sostanzialmente evidenziato la carenza di conoscenze approfondite sulle differenti tipologie di materiali da rivestimento e relativi processi produttivi, giustificando la preferenza di un materiale a rispetto ad altri attraverso generiche motivazioni sul benessere animale o sulla sostenibilità ambientale.

Posto che non si comprende la motivazione per la quale tali materiali non vengano classificati semplicemente come “rivestimenti”, ma che siano etichettati con accezione alternativa nei fatti competitiva al cuoio (leather alternatives), in molti dei casi esaminati, comunque, non sembra sia stata fatta alcuna valutazione né sul significato di “alternativo” né tantomeno sull’utilizzo della parola “cuoio” per materiali che non derivano dalla pelle animale.

Se volessimo banalmente analizzare il significato delle parole, per “alternativo” si intendono “beni concorrenti nell’offerta”, “mezzi, realtà o soluzioni a cui si può ricorrere in sostituzione di altro che venga a mancare, o che comunque si voglia o si debba scartare; o anche, più generalmente, che offre una possibilità di scelta” [2], oppure “cose che puoi scegliere di fare o avere tra due o più possibilità” [3]. Se lo riferiamo a prodotti o materie prime, questo significa che, oltre ad avere la stessa destinazione industriale, due materiali alternativi tra loro dovrebbero quantomeno competere per prestazioni e caratteristiche merceologiche.

Per quanto riguarda, invece, il termine “cuoio”, il D.Lgs 68/2020 lo definisce chiaramente come “la pelle o il pellame di un animale che ha conservato la sua struttura fibrosa originaria più o meno intatta, conciato in modo che non marcisca” [4], allineandosi alle definizioni riportate nella Direttiva Europea 94/11/CE sull’etichettatura dei materiali usati nelle principali componenti delle calzature destinate alla vendita al consumatore.

Analizzando alcuni dei tra i prodotti presenti sul mercato, esistono già materiali con la medesima destinazione d’uso del cuoio, anche se in alcuni casi non sembrano essere sempre ad esso “alternativi” (nel senso di pari percezione da parte del consumatore o di pari proprietà), ma più che altro “surrogati” o imitazioni. Nella tabella sottostante sono riportati i risultati di un’analisi comparativa eseguita nel 2021 da FILK (Germania) di alcuni dei su citati materiali da rivestimento [5]. I dati mostrano come tali prodotti, pubblicizzati come alternativi al cuoio, in realtà non siano ad esso competitivo.

In alcuni casi (es. Appleskin [6]) sia la struttura che la pellicola di rivestimento risultano contenere materiali polimerici (PET e PU) che sicuramente, totalmente o in parte, derivano da sorgenti fossili. Ad ogni modo, per il raggiungimento di molte proprietà di superficie indispensabili per l’utilizzo nel settore della moda, viene applicata una rifinizione polimerica, così come accade per molti articoli di pelle [5].

Se sul mercato in qualche modo è chiara la gamma di prodotti concorrenti con il cuoio ed i relativi monitoraggi a tutela del rispetto di etichette, norme e leggi (es. in Italia il D.Lgs 68/2020) restano criticità nel mondo della ricerca scientifica. Non è difficile, infatti, trovare papers scientifici su riviste “peer reviewed”, anche con impatto non trascurabile, riguardanti studi di nuovi materiali classificati come “leather alternative” o con il sostantivo “leather” utilizzato in modo improprio. A titolo esemplificativo, nella tabella sottostante sono riportati alcuni titoli di papers (inclusivi di fonte) che si possono trovare con semplici ricerche su internet.

ARGOMENTO / TITOLO RESEARCH INTEREST SCORE CITATIONS READS FONTE / DOI / ISBN
Fungi-derived leather (Mushroom leather) 64,6 3 6667 MycoKing 1: 1–9 (2022) www.mycoking.org
Jute–Mycelium Vegan Leather 4,4 0 110 DOI: 10.1155/2024/1304800
Leather Alternative from Natural Rubber and Pineapple Leaf Fiber (PALF Leather) 9,5 2 1008 DOI: 0.3390/su152115400
Fungal mycelium as leather alternative 18,1 18 542 DOI: 10.1016/j.susmat.2023.e00724
A Study on Different Kinds of Leathers Alternative Materials 6,4 5 264 DOI: 10.3390/su16062324
Leather alternative from bacterial cellulose (kombucha scoby leather) 8,1 2 297 DOI: 10.47413/vidya.v1i2.66
The first low-carbon and biodegradable alternative leather 16,8 21 433 DOI: 10.1186/s12302-022-00689-x
Cellulose-protein biodegradable flexible composite (leather alternative) 4,6 1 243 DOI: 10.1007/s10570-023-05547-4
Vegan Alternatives for Leather (es. cactus leather, apple leather) 0,3 0 50 ISBN: 978-3-031-65364-3
Cactus Leather in Pakistan’s Leather Industry 0,7 1 70 DOI: 10.58661/ijsse.v4i3.298
Jute fiber reinforced flexible planar composite alternative of leather 10,5 6 560 DOI: 10.1177/15589250221144015

In quasi tutti gli articoli, viene motivato l’oggetto dello studio non in termini di produzione di “nuovi materiali sostenibili” in senso assoluto, ma sempre in competizione con il “cuoio”. Cuoio che viene sempre considerato come riferimento negativo in termini di impatto ambientale, con alternative spesso etichettate come cruelity-free. Considerazioni che sono errate non solo dal punto di vista ambientale, ma anche in termini di rispetto per gli animali. Si ricorda, infatti, che il “cuoio” resta un materiale prodotto dagli scarti dell’industria alimentare e che è stato già dimostrato che la sua produzione non determina impatti differenti rispetto ai materiali concorrenti [7], molto spesso costruiti con materie prime da sorgenti fossili.

[1]          Vera Ashley. Knowledge of Leather Alternatives: An Exploratory Study: Implications for Education. J Textile Sci & Fashion Tech. 7(4): 2021. JTSFT.MS.ID.000668. DOI: 10.33552/JTSFT.2021.07.000668

[2]          https://www.treccani.it/vocabolario/alternativo/

[3]          https://www.oxfordlearnersdictionaries.com

[4]          D. Lgs 9 giugno 2020, n. 68 “Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi e la relativa disciplina sanzionatoria, ai sensi dell’articolo 7 della legge 3 maggio 2019, n. 37 – Legge europea 2018. (20G00084) (GU Serie Generale n.160 del 26-06-2020)”

[5]          Michael Meyer, Sascha Dietrich, Haiko Schulz, Anke Mondschein – Comparison of the Technical Performance of Leather, Artificial Leather, and Trendy Alternatives – Coatings 2021, 11, 226

[6]          https://www.appleskin.com/appleskin

[7]          https://ssip.it/2024/01/25/conciare-conviene-la-circolarita-della-produzione-di-cuoio/

A cura di

Ing. Rosario Mascolo – Coordinatore Tecnico-Scientfico Dipartimento Sviluppo Prodotto

Ha collaborato: Dott. Gianluigi Calvanese

Focus Scientifico: Determinazione della composizione di acidi grassi del cuoio mediante GC-MS.
Focus Scientifico: Determinazione della composizione di acidi grassi del cuoio mediante GC-MS.

La conoscenza della quantità di sostanze grasse all’interno di una pelle da destinare alla produzione di cuoio è importante sia per prevedere e gestire l’efficacia dei vari prodotti chimici aggiunti durante il processo di concia, sia per minimizzare la possibilità di avere difetti sul prodotto finito, quali ad esempio efflorescenze grasse o macchie dovute a precipitati di saponi di grasso.

La composizione della fase grassa può variare da specie a specie oltre che dipende dalla provenienza dell’animale, potendone in alcuni casi divenire una caratteristica peculiare e distintiva, anche considerando quella residua riscontrabile in un cuoio semilavorato e, in opportune condizioni, anche finito.

Una componente fondamentale delle sostanze grasse presenti all’interno della pelle è normalmente rappresentata da trigliceridi.

Struttura di un trigliceride

Un trigliceride è composto da una molecola di glicerina alla quale sono legate tre catene di acidi grassi, che possono essere anche diversi tra loro e la cui lunghezza ed il cui numero di doppi legami presenti ne determina variazioni nel comportamento chimico. Una maggiore lunghezza ne determina un maggior carattere apolare e punti di fusione iù elevati, così come un maggior numero di insaturazioni li rende più polari oltre che con una maggiore presenza di punti di attacco da parte di agenti esterni che ne possono provocare l’ossidazione o altri tipi di decomposizioni.

Strutture di alcuni acidi grassi con differenti lunghezze di catena carboniosa e numero di insaturazioni

Reazioni di idrolisi del legame che lega la parte glicerica e la parte di acido grasso fanno sì che, tra le sostanze grasse, siano inevitabilmente presenti anche acidi grassi liberi.

È proprio la composizione percentuale totale degli acidi grassi presenti in tutti i trigliceridi e negli acidi grassi liberi ad essere la caratteristica peculiare di una fase grassa saponificabile.

L’analisi delle sostanze grasse in un cuoio e la successiva determinazione della composizione degli acidi grassi, prevede una prima fase di estrazione con un solvente o miscela di solventi apolari nei quali vengono estratti gli acidi grassi liberi, le sostanze grasse insaponificabili e le sostanze grasse saponificabili.

Normalmente l’estrazione avviene utilizzando esano con un rapporto di estrazione di 1 parte di cuoio e 20 parti di solvente. Tale estrazione può essere condotta in un bagno ad ultrasuoni alla temperatura di 50°C per 60 minuti in contenitore a tenuta stagna a pareti spesse. Questo tipo di estrazione ha il vantaggio di poter lavorare con piccole quantità di solventi e di essere scalabile a piccole quantità di campione disponibile.

Estrazione di cuoio con esano

Al termine dell’estrazione, raffreddato il tutto, il solvente viene filtrato per separare i residui solidi e concentrato mediante blando riscaldamento sottovuoto con un evaporatore rotante. I trigliceridi contenuti nella fase organica apolare vengono sottoposti alla reazione di transesterificazione che ha lo scopo di liberare gli acidi grassi costituenti e convertirli in esteri metilici per renderli più apolari rispetto alla forma acida, facilitandone così la successiva separazione e caratterizzazione.

La transesterificazione è, quindi, la conversione da esteri glicerici di acidi grassi a esteri ottenuti con un altro alcol, normalmente il metanolo.

Schema della reazione di transesterificazione

La reazione di transesterificazione può essere condotta o mediante utilizzo di basi, normalmente metanolo in ambiente basico per KOH o direttamente con metilato di sodio, oppure in ambiente acido, utilizzando metanolo ed acido solforico.

Lo svantaggio dell’ambiente basico è la eventuale reazione di saponificazione di parte degli acidi grassi ottenuti che potrebbe portare alla formazione di emulsioni e rendere difficile la successiva fase di separazione e purificazione degli esteri prodotti.

Operando, invece, con metanolo in ambiente acido si ottiene, oltre alla transesterificazione dei trigliceridi, anche la trasformazione in esteri degli acidi grassi liberi.

Reazione di transesterificazione in atto;

i trigliceridi, che sono ancora solo parzialmente decomposti, creano microemulsioni in entrambe le fasi.

Reazione terminata. Il glicerolo è solubilitzzato nella parte idroalcolica mente gli esteri e gli insaponificabili sono nella fase organica. L’aggiunta di sali nella fase acquosa favorisce la rottura delle eventuali emulsioni.

 

A fine reazione la fase organica viene dibattuta diverse volte con acqua per eliminare ulteriori residui di sostanze idrosolubili per poi essere essiccata, dopo separazione dalla fase acquosa, per passaggio su sodio solfato anidro.

La tecnica di elezione per la successiva determinazione degli esteri ottenuti da sostanze grasse è la tecnica gascromatografica, che separa i componenti della miscela in base alla loro temperatura di ebollizione ed alla loro diversa affinità per un supporto attraverso il quale viaggiano e con il quale interagiscono. Essa è tradizionalmente associata alla rivelazione mediante ionizzazione di fiamma, FID, che sfrutta, ai fini della rilevazione, la combustione dei composti che mano escono dalla colonna capillare contenente il supporto atto a separare i composti. Tale tipologia di rilevazione, però, dà solo alcune indicazioni orientative sulle caratteristiche dei diversi composti che man mano fuoriescono dalla colonna di separazione e bruciano per dare il segnale, in tempi che possono dipendere dalla  dimensione e polarità delle molecole, a parità di altre condizioni sperimentali. L’unico modo di identificarlisarebbe attraverso il confronto con il tempo di uscita di un composto noto, analizzato nelle stesse condizioni cromatografiche. Questa limitazione diventa rilevante e onerosa nel caso di miscele con un numero elevato di composti, inaspettati oltre che incogniti.

Una tecnica di rilevazione alternativa che dà maggiori informazioni sui composti in esame è la rilevazione a filtro di massa che, mediante l’analisi dei frammenti molecolari ottenuti per l’impatto di elettroni sul composto in uscita dalla colonna, permette di risalire con ottima confidenza alla struttura del composto, anche mediante confronto con librerie di frammentazioni chimiche.

Separazione cromatografica di esteri metilici di acidi grassi su colonna polare SGE BP20.

Frammentazione rilevata per il picco con tempo di ritenzione di 40.19 minuti.

Identificazione del picco eluito a 40.19 minuti per confronto con libreria spettrale NIST

Quelli riportati nella tabella seguente sono i risultati ottenuti dalla procedura analitica appena descritta applicata ad un campione di cuoio ottenuto da pelle di coccodrillo. Il campione in esame ha mostrato la presenza, in concentrazioni molto più elevate rispetto ad altre specie animali, di acidi grassi insaturi e poli-insaturi a catena medio-lunga. Questa peculiare caratteristica della composizione del grasso di coccodrillo, riscontrabile anche in diverse altre fonti di letteratura scientifica, ne determina un uso diffuso in campo nutrizionale e medico.

Composizione degli esteri metilici degli acidi grassi ottenuti da sostanza grassa estratta da cuoio di coccodrillo

L’utilizzo della rivelazione post GC con filtro di massa ed il confronto con librerie spettrali ha permesso una identificazione relativamente agevole e con discreta certezza di tali composti anche senza l’iniezione di sostanze pure da utilizzare come riferimento, come sarebbe stato necessario fare nel caso di utilizzo di rilevazione FID, sebbene tale pratica non avrebbe assicurato una identificazione univoca a causa della possibilità di co-eluizione di composti con caratteristiche simili.

A cura del Dr. Leopoldo Esposito – Resp. Laboratori SSIP

20-09-2024

FOCUS SCIENTIFICO: Metal Free o Heavy Metal Free, un problema di definizione?
FOCUS SCIENTIFICO: Metal Free o Heavy Metal Free, un problema di definizione?

La concia metallica rappresenta la tecnica di stabilizzazione del collagene più diffusa; sebbene il Solfato di Cromo Basico sia il sale più utilizzato, solo il 5 % del Cromo industriale è utilizzato nel settore della concia, in quanto la maggior parte di esso è impiegato per la produzione di acciaio inox; il Cromo III è un elemento fondamentale per la nutrizione umana; normalmente il contenuto di Cr III nel suolo è 3-5 ppm; pure i tatuaggi di pigmento verde possono contenere Cromo III senza rilevare alcun rischio per la salute; tuttavia, eventuali criticità connesse alla sua possibile trasformazione in Cromo esavalente, nei pellami, rappresenta una questione non trascurabile.

Il Cromo esavalente è comunque facilmente riconvertibile a Cromo trivalente; la natura stessa, le piante, gli organismi viventi sanno adottare sistemi per la riduzione del Cr VI in piccole quantità. Il Cromo ridotto tende poi a stabilizzarsi irreversibilmente precipitando come ossido. In aggiunta, se consideriamo ad esempio, il pellame nelle tomaie o sottopiedi delle calzature, il pH acido e i microorganismi del sudore umano sono un perfetto ambiente per la riduzione dell’eventuale Cr esavalente presente, in cromo trivalente innocuo.

Anche altri matalli concianti possono avere complicazioni e vantaggi, ma siamo certi di conoscere la classificazione e distinzione fra un pellame metal free, Chrome free o Heavy metal free?

La definizione di pellame Metal-free è riportata nel punto 4.2.2.3 della norma UNI EN 15987:2015 recante le definizioni chiave per il commercio del cuoio; essa prevede che la concentrazione totale, quindi la somma delle concentrazioni di tutti i metalli concianti, Alluminio, Cromo, Ferro, Titanio e Zirconio, deve essere rilevata minore o uguale allo 0,1%, ovvero a 1.000 mg/Kg, espresso come peso sulla sostanza secca.

Ciò implica, in primis, che, nell’effettuare indagini analitiche finalizzate a verificare se un pellame sia o meno definibile quale Metal-free, è necessario procedere a determinare sia il contenuto di metalli concianti, che il contenuto d’acqua, al fine di poter calcolare la concentrazione secondo quanto richiesto dalla norma. A tal riguardo, si sottolinea la necessità di verificare che nel Rapporto di Prova emesso dal Laboratorio, i risultati siano riportati in termini di peso sulla sostanza secca, ma in tal senso aiuta la norma ufficiale per la determinazione del contenuto di metalli nel cuoio, UNI EN ISO 17072-2:2019, che stabilisce che i risultati del contenuto di metalli siano espressi unicamente in termini di concentrazione sulla sostanza secca.

Heavy Metal Free “HMF”

Non esiste una definizione di metallo pesante basata su criteri ampiamente condivisi. Si possono attribuire definizioni diverse, a seconda del contesto. In metallurgia, ad esempio, un metallo pesante può essere definito sulla base della sua densità, ovvero si definisce heavy metal coloro che hanno una densità maggiore di 5 grammi/cm3, mentre in fisica il criterio distintivo potrebbe essere il numero atomico, mentre dal punto di vista chimico o biologico sarebbe probabilmente più interessante il comportamento chimico o, appunto, biologico.

Sulla base della densità si includerebbe, nell’elenco dei metalli pesanti anche quegli elementi, come il Selenio e l’Arsenico, che non sono metalli, sebbene siano dotati di proprietà fisiche e chimiche simili a quelle dei metalli in senso stretto. Altri metalli, invece, considerati pesanti, per alcune proprietà, come il Berillio (density 1.8 g/cm3), Alluminio (2.7 g/cm3), Calcio (1.55 g/cm3) Bario (3.6 g/cm3) sono considerati leggeri.

Su queste indicazioni i metalli pesanti sono molti (vedi sotto), ma i metalli utilizzati in concia che possono considerarsi Heavy sono sostanzialmente i tre:

Cromo = 7,2 g/cm3

Ferro = 7.9 g/cm3

Zirconio 6.5 g/cm3

Non lo sono l’Alluminio (2.7 g/cm3), il Titanio (4.5 g/cm3) che hanno appunto densità inferiore a 5 grammi/cm3.

Perciò possiamo definire sostanzialmente una concia HMF come una concia Chrome Free..

Elenco dei metalli pesanti secondo la definizione della densità:

Antimony, Arsenic, Bismuth, Cadmium, Cerium, Chromium, Cobalt, Copper, Erbium, Europium, Gadolinium, Gallium, Germanium, Hafnium, Holmium, Indium, Iridium, Iron, Lanthanum, Lead, Lutetium, Manganese, Mercury, Molybdenum, Neodymium, Nickel, Niobium, Osmium, Palladium, Platinum, Praseodymium, Rhenium, Rhodium, Ruthenium, Samarium, Selenium, Tantalum, Tellurium, Terbium, Thallium, Thorium, Thulium, Tin, Tungsten, Uranium, Vanadium, Ytterbium, Zinc, Zirconium

 

A cura del Dr. Marco Nogarole

12 settembre 2024

FOCUS SCIENTIFICO: ASPETTI DI SICUREZZA CONNESSI ALL’IMPIEGO DI NANOPARTICELLE IN AMBITO CONCIARIO
FOCUS SCIENTIFICO: ASPETTI DI SICUREZZA CONNESSI ALL’IMPIEGO DI NANOPARTICELLE IN AMBITO CONCIARIO

Il crescente fabbisogno di implementazione delle caratteristiche di qualità e prestazioni tecniche dei cuoi, ha trovato in tempi recenti risposte efficaci attraverso l’impiego delle nanotecnologie; numerose sono le soluzioni sperimentate  in tal senso, a fine di conferire proprietà aggiunte al cuoio, mediante la dispersione di nanoparticelle in rifinizione, nell’ambito del Progetto SINAPSI, cofinanziato dal (ex) Ministero dello Sviluppo Economico, a valere sul Fondo per la Crescita Sostenibile – Sportello “Fabbrica intelligente”; il progetto, coordinato scientificamente dalla SSIP, ha visto in qualità di partner aziende altamente rappresentative nel campo della produzione di pelli ovi-caprine per calzature e pelletteria, come DMD SpA, capofila del progetto, nonché di aziende virtuose nella produzione pelli bovine per automotive, come LEVI Italia srl; il progetto, ha inoltre potuto contare sulla partecipazione di altri primari partner tecnici, come Assomac, Centro Ricerche Fiat e Centro di Ricerca Interdipartimentale NANO_MATES dell’Università di Salerno.

È stato particolarmente sperimentato l’impiego di NPs (nanoparticelle) di Ag, TiO2 e SiO2 in rifinizione ed è stata verificata l’efficacia di tali agenti nel migliorare significativamente diverse caratteristiche prestazionali della pelle, come evidenziato nell’ambito di precedenti lavori [1,2,3,4,6]; considerato il significativo potenziale emerso, dall’impiego ti tali approcci in rifinizione, sono stati per completezza valutati, nel contempo, gli aspetti di sicurezza connessi al loro impiego; in un recente lavoro [5], sono stati nello specifico esaminati i potenziali rischi associati all’utilizzo delle nanoparticelle per i sistemi biologici e negli ecosistemi; sono stati quindi svolti studi di approfondimento sui fattori che influenzano la tossicità e la citotossicità delle nanoparticelle comunemente adottate nella fase di rifinizione della pelle, con particolare attenzione alle nanoparticelle di Ag, TiO2 e SiO2, al fine di valutare gli effetti di queste sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. Sono stati presi in esame, allo scopo, sia fattori come l’esposizione professionale alle nanoparticelle derivanti dall’uso di nanomateriali, che le emissioni accidentali di nanoparticelle con elevato contenuto di metalli, che possono impattare sulla salute dell’operatore, attraverso inalazione, ingestione, iniezione e assorbimento cutaneo (incluso l’ingresso oculare) e in misura più o meno significativa a seconda delle caratteristiche della fase di processo; sono stati presi in considerazione, inoltre, i parametri in grado di influire sul comportamento delle nanoparticelle, e pertanto di influenzarne la tossicità/citotossicità, tra cui dimensioni, forma, stato di aggregazione, rivestimenti, funzionalizzazione superficiale, carica superficiale, struttura, composizione del materiale, dosaggio e concentrazione. Lo studio ha evidenziato, in particolare, una attenuazione della tossicità per nanoparticelle di Ag, TiO2 e SiO2 funzionalizzate con sostanze come acido citrico, acido oleico, polietilenglicole; è stata altresì riscontrato che un altro fattore cruciale che controlla l’interazione delle nanoparticelle con i sistemi biologici è la loro carica superficiale, che può essere alterata innestando polimeri con cariche diverse; in linea generale, un potenziale zeta positivo (potenziale ζ) è spesso correlato a una maggiore tossicità delle nanoparticelle rispetto a un potenziale negativo. Rispetto agli aspetti di stabilità i quantitativi di NPs impiegati nell’ambito del progetto sopra menzionato, è degno di nota che la loro incorporazione nella matrice di rifinizione e le basse concentrazioni per singola pelle (ad titolo esemplificativo, circa 6 mg di Ag NP per circa 0,6 m2 di pelle) garantiscono la conformità ai limiti tossicologici anche nell’improbabile caso di esposizione a tutte le nanoparticelle contenute in uno strato di rifinizione.

Il lavoro evidenzia in definitiva la possibilità di impiegare in sicurezza le NPs per migliorare la qualità e la  prestazione dei cuoi, fornendo spunti per la ricerca di soluzioni puntuali per migliorare la sicurezza e sostenibilità dei prodotti.

Per approfondimenti, si rimanda all’articolo completo, pubblicato sulla rivista ACS Chemical Health & Safety:

https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.chas.4c00006#:~:text=Nanoparticles%20can%20become%20potential%20hazards,substance%20can%20enter%20the%20body.

References:

  1. Florio C., Favazzi A., Trigila F., Maffei G., Loi A., Nogarole M, Lambertini V. G., Sarno M., Enabling technologies for novel generations of sustainable and smart leathers, III IULTCS EuroCongress 2022 “Rinascimento: The Next Leather Generation”, Vicenza, Italy, 18th – 20th September 2022.
  2. Florio C., Mascolo R., Cirillo C., Maffei G., Loi A., Sarno M., Zero chemical treatment of leather waste for highly performing, circular and sustainable finishings – Conference Paper – 37th WORLD CONGRESS of the International Union of Leather Technologists and Chemists Society (IULTCS), Chengdu, China, from October 17 to 20, 2023.
  3. Fierro F., Iuliano M., Cirillo C., Florio C., Maffei G., Loi A., Batakliev T., Adami R., Sarno M. – Multifunctional leather finishing vs. applications, through the addition of welldispersed flowerlike nanoparticles – Scientific
    Reports – Nature portfolio | (2024) 14:2163 | https://lnkd.in/dyTF_4Sq IF 5.516 Q1.
  4. Mariagrazia Iuliano, Claudia Cirillo, Francesca Fierro, Claudia Florio, Gaetano Maffei, Andrea Loi, Todor Batakliev, Renata Adami, Maria Sarno    Titania nanoparticles finishing for smart leather surface Progress in Organic Coatings Volume 192, July 2024, 108457, https://lnkd.in/d9hBp28r IF 6.6 Q1.
  5. Claudia Cirillo, Mariagrazia Iuliano, Davide Scarpa, Luca Gallucci, Claudia Florio, Gaetano Maffei, Andrea Loi, Maria Sarno – Nanoparticles usage in leather processing: workers safety and health ACS Chemical Health & Safety May 6, 2024, https://lnkd.in/dHXyPZ9i IF 3.0 Q1.
  6. “MULTIFUNCTIONAL PARTICLE INCLUDING TITANIUM DIOXIDE, SILVER, SILICON DIOXIDE”, Patent application n.102022000026556 – 12/22/2022, PTC/IB2023/063019/20/12/2023, OWNER: ITALIAN LEATHER RESEARCH INSTITUTE /INVENTORS: Claudia Florio, Claudia Cirillo, Eleonora Ponticorvo, Mariagrazia Iuliano, Maria Sarno.

5 settembre 2024

A cura della Dr. ssa Claudia Florio

FOCUS SCIENTIFICO: DECALCINAZIONE DELLE PELLI: OBIETTIVI ED ASPETTI TECNOLOGICI
FOCUS SCIENTIFICO: DECALCINAZIONE DELLE PELLI: OBIETTIVI ED ASPETTI TECNOLOGICI

La decalcinazione è una delle operazioni necessarie alla fase di riviera, che porta con sé una serie di criticità che posso rilevarsi come difetto nella pelle finita. Lo scopo principale è quello di eliminare i residui di calce ancora presenti nelle fibre, ed abbassare i valori di pH della pelle fino ad arrivare ad un valore ottimale per i processi successivi..

Dopo il calcinaio, la calce o gli altri alcali presenti nella pelle non sono più necessari e nella maggior parte dei casi hanno effetti dannosi sulle successive fasi di concia; ad esempio, in caso di concia al cromo la calce rende la pelle verde, dura e rigida, impedendo la corretta penetrazione del conciante.

Il modo più semplice per rimuovere la calce trattare le pelli con un flusso continuo di acqua fredda e pulita. Il lavaggio rimuove facilmente la calce non disciolta dalla superficie, tuttavia una parte della calce o di altri alcali come la soda caustica, è trattenuta chimicamente dalle fibre (circa lo 0,4% sul peso della pelle) e viene rimossa solo molto lentamente. Il processo diventa progressivamente sempre più lento man mano che la calce viene rimossa.

Inoltre, nel caso di utilizzo di acqua dura si possono in questa fase formare depositi di calcio in quanto i bicarbonati solubili di Ca o Mg o l’acido carbonico reagiscono con la calce con precipitazione di carbonato di calcio. CaCO3. Se il lavaggio si prolunga troppo si può provocare un’ulteriore decomposizione alcalina della pelle, rendendo la pelle flaccida, in particolare se l’acqua è troppo calda. L’acqua tiepida (max 38°C) ridurrà il rigonfiamento della struttura fibrosa, consentendo così un più facile accesso all’acqua per eliminare le proteine interfibrillari ed il calcare.

Per quanto sopra nella pratica conciaria si effettua una vera e propria decalcinazione chimica, ovvero dopo una prima fase di lavaggio, il flusso d’acqua viene interrotta e sono vengono aggiunte quantità controllate di acidi o sali che producono acidi che neutralizzano gli alcali.

Poiché troppa acidità danneggia la pelle provocando violenti gonfiori e dissoluzione di proteine con conseguenti danni al fiore e poiché è impossibile stimare con precisione la quantità di alcali presenti in un bottale di pelli calcinate, di solito si utilizzano gli acidi organici deboli – borico (o acido borico), lattico, acetico – o sali acidi come il bisolfito di sodio, oppure sali debolmente alcalini quali cloruro di ammonio, solfato di ammonio. Tutti questi danno meno pericolo di decalcinazione eccessiva con conseguente rigonfiamento dell’acido rispetto agli acidi minerali forti ed economici, acido cloridrico e solforico. Alcuni moderni sistemi di decalcinazione utilizzano acidi non rigonfianti. Questi possono essere acidi piuttosto forti ma a causa dei potenziali dipoli nella loro struttura non gonfiano la proteina. Esempi di tali tipologie di composti sono alcuni derivati dell’acido ftalico o metafosfati complessi.

L’entità della decalcinazione controllando il pH in sezione ed il grado di delimitazione desiderato dipende dal processo che seguirà. Gli acidi deboli (e le basi deboli) e i loro sali danno origine a sistemi tampone. Se è necessario regolare il pH della pelle ad un certo valore, è pratico scegliere un acido (o una base) debole con un valore pKa vicino al pH richiesto (Acido formico pKa = 3.7, Acido acetico pKa = 4.7, Ammoniaca pKa = 8.6)

Nel caso di successivo processo di macerazione effettuato a pH 8 è quindi particolarmente indicato l’utilizzo di sali di ammonio.

Nel caso di molte conce vegetali per pelli pesanti, il pH desiderato si ottiene dall’acidità dei liquori di concia stessi. Per la concia al vegetale, concia con olio o con formaldeide di pelli più leggere, come pecore o capre, un’ulteriore decalcinazione o acidificazione è data mediante inacidimento con acidi organici deboli. Per le conce minerali, come cromo o allume, il pH di inizio concia viene regolato nel piclaggio.

Le pelli decalcinate devono essere portate immediatamente al processo successivo, poiché gli alcali sono stati rimossi e i batteri si trovano in una condizione ideale per causare putrefazione danneggiando la struttura ed il fiore della pelle.

 

29 Agosto 2024

A cura del dott. Gianluigi Calvanese

Focus Scientifico – Esame microscopico: uno studio comparativo delle pelli bovine
Focus Scientifico – Esame microscopico: uno studio comparativo delle pelli bovine

 

Il laboratorio di microscopia della SSIP oltre ad offrire un supporto specialistico finalizzato alla verifica e certificazione di autenticità di pelle, cuoio e pellicce nell’ambito del Decreto Legislativo n. 68/2020, consente anche di studiare la morfologia di varie zone della stessa pelle e come si configura l’orientamento delle fibre sulla pelle, ciò risulta utile sia per la caratterizzazione delle varie specie animali più in uso, sia per effettuare valutazioni merceologiche della pelle favorendone un migliore utilizzo per le varie applicazioni a cui essa è destinata.

Le tipologie di pelli bovine più utilizzate nell’industria conciaria sono principalmente vitelli, vitelloni, vacche e bufali. 

Ogni tipologia presenta caratteristiche merceologiche differenti, quindi è importante poterle distinguere tra loro sulla base delle esigenze specifiche richieste per il prodotto finale. 

I primi requisiti distintivi si basano sul peso, lo spessore e la superficie totale ma tali valutazioni sono fattibili quando si ha a disposizione il pellame intero, altrimenti si ricorre ad altri metodi diagnostici come la microscopia.

Il vitello è un bovino maschio/femmina, con un’età inferiore agli 8 mesi quando viene macellato. Il vitellone è un bovino più grande, con un’età inferiore ai 24 mesi al momento della macellazione. La vacca è la femmina adulta dei bovini. 

Le pelli di vitellone e vacca a parte la differenza di peso per il resto presentano caratteristiche strutturali assimilabili ad un generico bovino adulto:

  • lo strato papillare (fiore) è allentato ed è circa il 10-20% del derma.
  • lo strato reticolare è compatto ed è circa il 70-80% del derma.

L’aspetto del fiore al microscopio si presenta con follicoli distribuiti uniformemente sulla superficie del fiore con dimensione e profondità differenti a seconda dell’età (foto 1)

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Foto 1 – superficie pelle bovino adulto 

In molti casi le pelli sono rivestite da uno strato polimerico che ricrea il tipico disegno del fiore della pelle. Con una semplice prova, utilizzando un batuffolo di ovatta imbibito con alcol etilico o acetone, è possibile asportare lo strato polimerico e quindi osservare la superficie naturale della pelle.

Tali prove merceologiche permettono di poter valutare anche ulteriori caratteristiche del pellame che consentono anche di classificare il prodotto sulla base della norma UNI EN 15987:2015 “Leather – Key definitions for leather trade” che fornisce alcune definizioni chiave per il commercio del cuoio. La norma classifica i “termini” in: termini chiave, qualificanti, termini specifici ed altri.

La foto 2 mostra l’immagine ottenuta al microscopio di una pelle bovina NUBUCK – Cuoio abraso dal lato fiore in modo da ottenere un effetto vellutato e con grana ancora visibile

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Foto 2 – pelle bovina nubuck

La pelle di vitello ha una struttura che si distingue da quella dei bovini adulti

Lo strato papillare è circa il 25-30% della pelle

Lo strato reticolare è compatto ed è circa il 50-60% della pelle

Le pelli di vitello proprio per le caratteristiche uniche del fiore sono i pellami più pregiati e preferiti nella produzione di articoli di qualità; infatti, vengono molto utilizzate nell’industria della moda anche per la morbidezza, la resistenza e la flessibilità che le rendono ideali per la produzione di borse, portafogli, giacche, calzature e abbigliamento. La pelle di vitello nonostante sia costituita da fibre molto sottili mostra una notevole pienezza che ne conferisce una buona resistenza anche alle abrasioni oltre ad una buona capacità di mantenere inalterate le sue caratteristiche nel tempo. 

L’aspetto del fiore al microscopio si presenta con follicoli molto fitti ed una grana molto fine (foto 3)

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Foto 3 – superficie pelle di vitello

La pelle di bufalo proviene generalmente dall’ Asia o dall’ Africa e viene molto utilizzata nel settore dell’arredamento, ma anche della pelletteria.

Durante il processo di concia si cerca di non allungare molto la pelle per preservare il particolare aspetto granuloso; inoltre, le pelli di bufalo presentano una buona flessibilità ed una buona resistenza alla bagnatura, tali requisiti presumibilmente sono dovuti alla considerevole quantità di grasso naturale che caratterizza questa tipologia di pelli.

I bufali presentano al microcopio una superficie con follicoli a punta di spillo meno fitti rispetto ad altri bovini e praticamente equidistanti tra loro. Lo strato papillare è molto compatto (foto 4)

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Foto 4 – superficie pelle di bufalo

Laddove risultasse complicato asportare rifinizioni troppo coprenti è possibile valutare la morfologia in sezione al microscopio in trasmissione, poiché anche in questo caso la struttura fibrosa presenta delle caratteristiche distintive che consentono di distinguere diverse specie tra loro.

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Sezione pelle bovina Sezione pelle bufalo

 

1 Agosto 2024

A cura di 

Dott.ssa Roberta Aveta – Tecnico di microscopia/servizi di diagnostica avanzata

Tecnologia ad ultrasuoni. Case study: applicazione ad un’analisi di un difetto in un cuoio
Tecnologia ad ultrasuoni. Case study: applicazione ad un’analisi di un difetto in un cuoio

Quella che sfrutta gli ultrasuoni è una tecnologia che ormai da decenni ha dimostrato la possibilità di un utilizzo proficuo nell’industria conciaria. In questa nota, oltre ad una panoramica sul loro possibile impiego durante il ciclo di lavorazione conciario, si riporta un esempio di utilizzo in ambito analitico, al fine di estrarre efficacemente le sostanze grasse da un campione di pelle, nello specifico di coccodrillo (Crocodylus niloticus), all’interno di un’indagine più ampia atta a identificare le cause di un difetto di colore esibito dal campione.

Cosa sono gli ultrasuoni e cosa inducono in un liquido?

Gli ultrasuoni sono delle onde meccaniche sonore. Le frequenze che caratterizzano gli ultrasuoni sono superiori a quelle mediamente udibili da un orecchio umano. La frequenza convenzionalmente utilizzata per discriminare onde soniche da onde ultrasoniche è fissata in 20 kHz.

Gli ultrasuoni vengono generati per mezzo di materiali con particolari caratteristiche meccanico-elettriche, i materiali piezoelettrici. Questi particolari materiali come, ad esempio, il quarzo o titanato di bario hanno la caratteristica di generare una differenza di potenziale se compressi o stirati in senso trasversale; viceversa, se applicata una differenza di potenziale ai loro estremi, questi si comprimono o dilatano in senso trasversale. Proprio quest’ultima caratteristica viene sfruttata per generare queste onde meccaniche che hanno frequenze sopra il campo dell’udibilità umana (ultrasuoni). 

In base al materiale scelto si avranno quindi diverse frequenze di ultrasuoni, diverse propagazioni nei materiali e quindi diverse caratteristiche di potenza delle macchine generatrici.

Un secondo sistema per generare ultrasuoni si basa sulla magnetostrizione: un nucleo ferromagnetico sottoposto ad un campo magnetico alternato (massimo 200 kHz) si mette in vibrazione a frequenze ultrasoniche. Questo sistema è, ad esempio, utilizzato per la produzione di lavatrici industriali ad ultrasuoni [1]. 

Quando delle onde ultrasoniche vengono fatte passare attraverso un liquido, esse interagiscono con i gas in esso disciolti dando vita a bolle microscopiche dette bolle di cavitazione ed il fenomeno è definito cavitazione acustica.

Le bolle di cavitazione non sono stazionarie. Il loro volume oscilla, in maniera anche notevole, come mostrato in figura 1° dalla curva raggio vs. tempo. La bolla si espande (da 1 a 3, in figura) a causa di una elevata pressione interna iniziale e raggiunge un massimo a tempo arbitrario 4. Essa poi collassa ad un minimo di volume (figura 1b) dopodiché può riespandersi e ricominciare il ciclo.

Questo comportamento della bolla è fortemente non lineare; la bolla, cioè, passa molto più tempo in prossimità del massimo di volume rispetto al minimo.

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figura 1. Diagramma raggio-tempo di una bolla di cavitazione [3]

La dinamica della bolla cambia, invece, quando c’è un ostacolo nelle vicinanze. In particolare, la perdita di simmetria sferica può provocare la formazione di getti di liquido ad alta velocità che attraversano la bolla, definiti ‘jet’ in lingua inglese. Un esempio tipico è fornito nelle figure 2 e 3, che mostrano il collasso di una bolla in prossimità di una piastra rigida.

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figura 2 – Evoluzione di una bolla di cavitazione in prossimità di un ostacolo [2]

Inizialmente, la bolla si espande in modo quasi sferico (figura 2a). Il lato superiore della bolla vicino alla piastra viene appiattito man mano che la bolla si avvicina alla sua dimensione massima (le ultime tre curve più esterne in figura 2a). Dalla sua dimensione massima (curva più esterna in figura 2b), la bolla collassa. Quando la bolla si restringe, si muove verso la piastra e sviluppa un getto che attraversa la bolla (le otto curve interne in figura 2b). Il getto, quindi, impatta sulla parete superiore della bolla ed eventualmente sulla piastra. La velocità di questo getto d’acqua è molto elevata, di solito intorno ai 100 m·s−1 ed è indipendente dalla dimensione della bolla. L’impatto indotto sull’ostacolo provoca localmente temperature fino a circa 4500°C e pressioni anche fino a circa 50 MPa.

 

 

 

 

 

 

figura 3. Evoluzione di una bolla di cavitazione (fonte www.getinge.com)

Dal punto di vista costruttivo i sistemi che sfruttano gli ultrasuoni sono realizzati o come bagni ad ultrasuoni o con vasche nelle quali vengono immersi i trasduttori (figure 4 e 5).

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figura 4. Bagno ad ultrasuoni [4] figura 5. Amplificatore di ultrasuoni ad immersione [4]

Nell’area interna di un trasduttore sono comunemente presenti tensioni e correnti elettriche elevate e durante il suo funzionamento può essere rilasciata una notevole quantità di calore che si può aggiungere a quello inevitabilmente generato all’interno del liquido a cui sono applicati gli ultrasuoni. Soprattutto nel caso di bagni ad ultrasuoni, quindi, sono essenziali un raffreddamento efficiente, soprattutto durante la lavorazione continua, nonché la protezione dell’area interna dall’esposizione all’umidità o, eventualmente, a vapori infiammabili. I trasduttori piezoelettrici convenzionali sono raffreddati tramite aria forzata, il che li rende soggetti a surriscaldamento durante il funzionamento continuo poiché l’aria ha una bassa capacità di rimozione del calore. Modelli più recenti utilizzano il raffreddamento ad acqua, la cui efficienza di assorbire il calore è di diversi ordini di grandezza maggiore di quello dell’aria, ed adottano una costruzione a tenuta stagna del corpo che contiene il trasduttore.

Nel settore conciario, gli effetti generati dagli ultrasuoni in ambiente acquoso hanno dimostrato apportare un miglioramento in praticamente tutte le fasi del processo di produzione grazie a diversi meccanismi di azione esplicati sia sul substrato che sull’agente attivo.

Essi, infatti, provocano innanzitutto un miglioramento significativo nel coefficiente di diffusione delle diverse sostanze utilizzate nei bagni di concia, verosimilmente per modificazioni reversibili delle dimensioni delle vie di penetrazione.

In alcuni studi, ad esempio [6], si è evidenziato un miglioramento dell’assorbimento del cromo (che nel caso di impiego di ultrasuoni in fase di concia può tradursi in un incremento di circa il 30%), con contestuale riduzione dei tempi di concia. Altre fonti [7] riportano aumenti dell’assorbimento e del contenuto di cromo dal 30 al 50% e dall’1 al 7% rispettivamente. Un comportamento analogo è riportato [9] nel caso del processo di tintura della pelle. In tale studio si evidenzia un aumento di velocità di assorbimento attorno al 50% per diverse tipologie di coloranti, dosati al 4%, oltre che un miglioramento della uniformità di distribuzione in sezione e di solidità del colore rispetto a campioni di controllo non processati con l’ausilio di ultrasuoni. Tutto ciò senza variazioni apprezzabili delle caratteristiche meccaniche esibite.

Un secondo meccanismo di azione si può riscontrare nella riduzione della granulometria di alcuni prodotti usati nel processo, che ne potrebbero favorire sia la penetrazione che una più uniforme distribuzione, anche in maniera sinergica con la dilatazione meccanica esercitata sulle vie di assorbimento. In [9], ad esempio, mediante l’impiego di ultrasuoni di potenza pari ad 80 W per 4 ore, applicati alle sospensioni acquose delle diverse sostanze, sono riportati riduzioni del 90% nelle dimensioni delle particelle di enzimi utilizzati per la depilazione, del 99% delle particelle di calce, e dell’80% nel caso di sintani. In [10], poi, è riportato che l’utilizzo di ultrasuoni a 40 kHz con una potenza di 350 W ha portato ad una riduzione del 22% della dimensione media delle micelle dell’emulsione di un ingrassante con un aumento del 22% del suo assorbimento nel substrato.

Un ulteriore meccanismo di azione degli ultrasuoni è quello che genera la sonolisi, cioè la distruzione delle membrane cellulari e l’estrazione di materiale intracellulare, ottenuta grazie alle temperature e pressioni localizzate generate dalle bolle di cavitazione. Questo effetto può essere utilizzato nei casi in cui è prevista una fase di degrassaggio delle pelli. Essendo, infatti, il grasso naturale della pelle animale principalmente contenuto in cellule adipose, le cui pareti sono costituite da un involucro protoplasmatico rivestito di tessuto reticolare, lo sgrassaggio è tanto più efficace quanto più è efficace il rilascio del grasso dal confinamento cellulare, processo sicuramente migliorato mediante la rottura delle pareti cellulari operata dagli ultrasuoni in alternativa o in aggiunta all’agitazione meccanica. 

Esempio di applicazione analitica degli ultrasuoni.

La combinazione degli effetti descritti prima, prodotti dagli ultrasuoni in un liquido, è stata utilizzata ai fini analitici per migliorare l’estrazione dei grassi, rispetto alle procedure previste dalle norme tecniche normalmente utilizzate, in un campione di pelle di coccodrillo semilavorato, nel seguito riportato come Campione, che presentava un difetto di viraggio verso il colore giallo sia sul lato carne che sul lato fiore rispetto ad un campione di pelle che non presentava difetti, nel seguito definito Riferimento (figura 6).

figura 6. A, campione di Riferimento non difettato. B, Campione difettato

Al fine di evidenziare la presenza di sostanze grasse o meno cui ascrivere il possibile difetto, i campioni sono stati sottoposti ad estrazione con diclorometano secondo la norma UNI EN ISO 4048:2018 nella modalità riportata al punto 8.2, utilizzando un estrattore Soxhlet ed applicando 30 cicli di ricambio di solvente. 

Data l’esiguità del campione disponibile, anche in previsione della necessità di dover effettuare prove varie, si è dovuto lavorare con quantità di campione decisamente inferiore a quello previsto dalla norma. Inoltre, per seguire anche la variazione del colore in maniera più facilmente riferibile, sul campione sono state effettuate misure di colore di L*, a* e b* secondo lo standard CIELAB con lo spettrofotometro portatile Pantone X-Rite C60.

Dopo l’estrazione in diclorometano secondo la ISO 4048 la percentuale di sostanze solubili in diclorometano riscontrata nel Campione, pari al 5.7%, è risultata più alta rispetto al Riferimento nel quale è risultata pari al 1.1%. Tuttavia, il colore del Campione non risultava visivamente variato in maniera significativa rispetto al suo stesso colore prima dell’estrazione e nettamente diverso da quello del Riferimento. Di seguito sono riportati i valori di L, a e b del sistema CIELAB relativi ai campioni prima e dopo il trattamento oltre la differenza di colore ΔEab definita come pastedGraphic_5.png

 

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Data la scarsa variazione cromatica, per provare una modalità di estrazione più efficace, oltre che avere ulteriori elementi di valutazione in relazione alla natura più o meno polare delle sostanze che causavano il difetto, altre aliquote di campione sono state sottoposte parallelamente ad un’estrazione in metanolo ed in esano, in rapporto 1:20 p/v, in vials chiuse tenute in bagno ad ultrasuoni a 35 kHz per 60 minuti, mantenendo la temperatura del bagno nel quale avveniva la sonicazione al di sotto dei 45°C.

Le percentuali di sostanze estratte mediante trattamento con ultrasuoni in queste due prove sono risultate essere:

Estrazione in metanolo (%) Estrazione in esano (%)
Riferimento 4.7 1.9
Campione 7.0 7.3

Tali dati, ovviamente, sono stati ottenuti fondamentalmente per completezza di informazione e non per un loro confronto relativo. Più importante è il confronto delle differenze di colore ottenute con i due trattamenti riportate nelle tabelle seguenti.

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In metanolo, è stata estratta una discreta quantità di sostanze, anche dall’aliquota presa come riferimento, ma non quelle che provocano il colore della matrice. Verosimilmente una buona quota delle sostanze estratte è di polarità maggiore rispetto a quelle estraibili in solventi apolari. In esano il comportamento è stato quantitativamente analogo all’estrazione Soxhlet ma estraendo anche le sostanze responsabili della colorazione del cuoio.

I valori di ΔE*ab ottenuti rappresentano numericamente ciò che, in questo caso in particolare, si riesce ad apprezzare nettamente anche a vista dopo i trattamenti di estrazione.

Oltre alla variazione delle componenti a*, che risultano sempre numericamente piccole, l’estrazione con diclorometano e, in maniera ancor più accentuata, quella in esano, mostrano una diminuzione delle componenti b* ed L* che, come si nota dal diagramma riportato a destra dello spazio di colore CIELAB, sono in relazione ad una diminuzione della componente gialla che abbinata ad un aumento della luminosità percepita indica uno sbiancamento del campione. 

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Spazio di colore CIELAB

(fonte Konica Minolta, sensing.konicaminolta.asia)

L’estrazione in solvente assistita da ultrasuoni è stata applicata anche all’aliquota di campione originariamente sottoposta ad estrazione mediante estrattore Soxhlet e che non era stata sufficiente a sbiancare il campione. Sono state ricavate due sub-aliquote ed estratte, in vial chiusa a temperatura non superiore a 45°C e per 60’, in rapporto 1 a 20 p/v rispettivamente con diclorometano ed esano. 

I risultati di differenza di colore ottenuti, riportati nella tabella sottostante, confermano, almeno nel caso specifico del campione in esame, una maggiore capacità di estrazione di sostanze grasse del sistema ad ultrasuoni rispetto a quello di estrazione Soxhlet. Questo è vero limitatamente alle modalità minime previste dalla norma di 30 ricambi di solvente applicate in questo caso. Un aumento del numero di cicli di ricambio avrebbe sicuramente migliorato l’estrazione ma è da rimarcare che già per avere un ciclo di 30 ricambi di solvente si può impiegare indicativamente un tempo variabile dalle 4 alle 6 ore.

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Riferimenti bibliografici

[1] Voce Ultrasuoni in it.wikipedia.org

[2] Benedikt A. Weggler, Frank L. Dorman, in Separation Science and Technology, 2020

[3] Bubbles with shock waves and ultrasound: a review, Siew-Wan Ohl, Evert Klaseboer, and Boo Cheong Khoo – Interface Focus. 2015 Oct 6; 5(5): 20150019.

[4] Sonochemistry: Synthesis of Bioactive Heterocycles – Synthetic Communications · July 2014

[5] V. Sivakumar, P.G. Rao, Power ultrasound assisted cleaner leather dyeing technique: influence of process parameters, Environ. Sci. Technol. 38 (5) (2004) 1616–1621.

[6] Embialle Mengistie, Ilse Smets, TomVan Gerven – Ultrasound assisted chrome tanning: Towards a clean leather production technology – Ultrasonics Sonochemistry, Volume 32, September 2016, Pages 204-212

[7] Md. Abu Sayid Mia, Shamima Yeasmin, Mohammad Nurnabi, Md. Zahangir Alam – Eco-friendly Chrome Tanning of Leather using Ultrasound Technique – Journal of American Leather Chemists Association, Vol. 119 No. 2 (2024)

[8] V. Sivakumar et al. – Use of ultrasound in leather processing Industry: Effect of sonication on substrate and substances – New insights – Ultrasonics Sonochemistry 17 (2010) 1054–1059

[9] V. Sivakumar, P.G. Rao – Studies on the use of power ultrasound in leather dyeing – Ultrasonics Sonochemistry 10 (2003) 85-94

[10] Md. Abu Sayid Mia, Mohammad Nurnabi, Md. Zahangir Alam – Application of Ultrasound in Eco-friendly Fatliquoring of Leather – Journal of American Leather Chemists Association, Vol. 119 No. 3 (2024)

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