Dec 17 2025
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DA CPMC – AA VV ” Innovazione e impatto sociale nella filiera del cuoio: alcune evidenze dal progetto SOLARIS”
Il settore del cuoio è un comparto produttivo globalmente radicato nei territori e storicamente esposto a profonde trasformazioni strutturali, tecnologiche e ambientali (Storper, 1997; Becattini et al., 2009). La sua rilevanza si accompagna ad una attenzione sia per l’impatto economico, sia per quello sociale e ambientale. Queste dinamiche vanno lette infatti alla luce della co-evoluzione tra sistemi produttivi locali e traiettorie globali di cambiamento (Amin, Thrift, 1994). Sostenibilità ed economia circolare sono paradigmi ritenuti fondamentali anche per questa filiera produttiva; sistemi-chiave per migliorare la resilienza del modello industriale, abbassando i costi di produzione, riducendo le emissioni di CO2 e creando un sistema della produzione più sostenibile e attento a preservare i territori da conseguenze indesiderate. In Europa l’ambizione in termini di policies è espressa dal “Clean Industrial Deal”: fare di questo continente il leader globale dell’economia circolare al 2030. “Ancora più di prima – si sottolinea nella comunicazione della Commissione – la circolarità dovrà essere un driver per l’innovazione, mettendo la circolarità nel cuore della strategia di decarbonizzazione lungo tutta la filiera, dalla concia alla produzione di beni finiti”.
In tale contesto, le attività di ricerca empirica condotte nell’ambito del progetto MICS- SOLARIS – Sustainable Options for Leather Advances and Recycling Innovative Solutions1, offrono una chiave di lettura inedita delle implicazioni socio-territoriali delle trasformazioni che possono interessare il settore, sia in termini di innovatività sia in termini di criticità. Questi scenari implicano sia i cambiamenti che investono le strutture produttive, sia l’insieme delle relazioni sociali, delle culture organizzative e dei sistemi di significato che investono le organizzazioni nei territori. Come evidenzia Goldthorpe (2000), è opportuno uno sguardo che vada oltre gli effetti meramente manageriali, per interrogarsi sulle dinamiche profonde che plasmano il lavoro, i soggetti e le comunità.
In questo quadro, dimensioni quali la struttura occupazionale, l’innovazione, la sostenibilità e la circolarità vanno lette come elementi interconnessi di un processo di trasformazione sociale. Analizzare la struttura occupazionale, ad esempio, non significa solo misurare il numero degli occupati, ma comprendere la qualità delle relazioni di lavoro, le possibilità di accesso e mobilità interna, i profili professionali emergenti e quelli in declino. La segmentazione per genere, livello di istruzione, mansioni e posizioni apicali diventa così uno strumento cruciale per mettere in luce disuguaglianze, rigidità sistemiche e, al tempo stesso, potenzialità sociali ancora inespresse. Come si osserva dai dati raccolti, la differenziazione tra i comparti delle aziende che hanno risposto alla survey è significativa:
quelle conciarie impiegano mediamente più personale (59.21 dipendenti) e mostrano una maggiore incidenza di laureati (3.53) e diplomati (23.00). Le aziende di pelletteria si caratterizzano per dimensioni più contenute (21.67 dipendenti) e per la minor presenza media di laureati (1.80) e diplomati (10.80). Le calzaturiere si collocano in una posizione intermedia per numero medio di dipendenti (41.08) e diplomati (14.33), ma presentano la più alta percentuale media di donne sul totale dei dipendenti (51.79). Queste differenze riflettono traiettorie occupazionali distinte e configurano esigenze formative e di competenze specifiche. Le competenze richieste, di conseguenza, variano in modo significativo: nei contesti più industrializzati, la domanda si orienta verso profili con specializzazioni tecniche e capacità gestionali, mentre nei contesti più artigianali prevalgono saperi manuali e conoscenze tacite tramandate nel tempo. Inoltre, nonostante una significativa presenza femminile nella forza lavoro delle aziende coinvolte nella ricerca, la percentuale di donne in posizioni apicali rimane bassa (tra il 7% e il 16%). Questi dati, pur limitati per il numero di casi raccolti, forniscono tuttavia indicazioni analitiche significative circa le modalità attraverso cui le disuguaglianze di genere si riproducono nei contesti organizzativi. In particolare, l’accesso alle posizioni di vertice sembra ancora regolato da meccanismi informali di selezione che valorizzano il capitale relazionale preesistente e tracciano traiettorie professionali implicitamente strutturate al maschile. Tale configurazione richiama la teoria delle organizzazioni genderizzate (Acker, 1990; Benschop, Verloo, 2011), secondo cui le pratiche e le logiche organizzative non sono neutre, ma intrinsecamente modellate da norme e aspettative di genere. L’urgenza di politiche attive orientate all’equità, alla trasparenza nei processi di avanzamento di carriera e al riconoscimento del merito emerge come nodo cruciale, non solo in termini di giustizia redistributiva, ma anche per la so- stenibilità sociale delle organizzazioni con- temporanee (Corbisiero, Nocenzi, 2023).

L’innovazione sociale rappresenta un altro tema cruciale. Non è solo una questione tecnologica, ma riguarda l’organizzazione del lavoro, la cultura d’impresa e la capacità di adattamento a nuove sfide. Le aziende conciarie si mostrano più attive in termini di investimenti in ricerca, tecnologie 4.0 e ammodernamento produttivo, in parte grazie a un capitale umano più qualificato. Le imprese calzaturiere appaiono più selettive e reattive, mentre quelle di pelletteria sembrano mantenere un orientamento più artigianale, con un’innovazione spesso informale o incorporata nei processi creativi piuttosto che strutturata in dipartimenti ricerca e sviluppo.
Queste differenze segnalano come l’innovazione possa accentuare le disuguaglianze, premiando chi ha risorse e competenze, penalizzando chi fatica ad adattarsi. La dimensione sociale dell’innovazione implica dunque una riflessione sulle condizioni abilitanti: reti di fiducia, accesso alla conoscenza, strumenti di formazione continua, governance multilivello (Sennett, 2008). L’innovazione richiede anche una revisione dei modelli di leadership in una direzione più orizzontale e collaborativa, capace di valorizzare il contributo diffuso alla trasformazione.
Le dimensioni della sostenibilità e della circolarità sono altrettanto centrali. Le aziende più innovative risultano anche più attente all’efficienza energetica, al riuso degli scarti, alla minimizzazione dell’impatto idrico e alla valorizzazione dei sottoprodotti. Queste pratiche richiedono nuove competenze, ridefiniscono il ruolo del lavoro e trasformano le relazioni tra imprese, fornitori e territori. La sostenibilità non è solo un imperativo etico o ambientale, ma diventa una dimensione strategica dell’identità d’impresa (Blowfield, Murray, 2008), traducendosi in leva integrata per la giustizia sociale e l’inclusione (Murray et al., 2017; Korhonen et al., 2018).

Il grafico 2 mostra come le strategie considerate più rilevanti siano l’efficientamento energetico e il riciclo a fine vita del prodotto. Questo non solo risponde a logiche di compliance, ma segnala un’evoluzione della responsabilità sociale d’impresa, dove la sostenibilità diventa leva reputazionale, identitaria e di posizionamento sul mercato. Le imprese che investono in sostenibilità costruiscono vantaggio competitivo anche in termini di riconoscibilità e legittimità sociale, rispondendo alle aspettative di consumatori, investitori e comunità locali.
Infine, la gestione degli scarti è un indicatore congruo per valutare il grado di maturità

di un’impresa in termini di sostenibilità. Si va da approcci minimali (raccolta differenziata) a strategie complesse come la trasformazione degli scarti in sottoprodotti per altri settori. In chiave sociologica, queste scelte riflettono modelli culturali e organizzativi differenti, così come diverse capacità di attivare sinergie intersettoriali. La gestione degli scarti può diventare dunque motore di innovazione, occupazione e inclusione se pensata come leva di valorizzazione e rigenerazione territoriale.
In conclusione, all’interno della filiera del cuoio, le aziende che integrano logiche avanzate di economia circolare non mostrano solo sofisticatezza tecnologica (ad esempio, concia a ciclo chiuso, rifinizione a base biologica), ma anche un’architettura organizzativa che considera la sostenibilità un bene condiviso e collettivo. Sono aziende che mobilitano la collaborazione, la riflessività sperimentale e l’orientamento a lungo termine per riconcettualizzare la competitività come coproduzione di valore sociale ed ecologico. In chiave squisitamente questo orientamento alla circolarità implica una ricodificazione delle logiche organizzative: i criteri decisionali vanno oltre i calcoli costi-benefici per includere indicatori come la salute e la formazione dei lavoratori, il benessere della comunità e le pari opportunità di genere. Dimensioni messe in primo piano dai framework di valutazione del ciclo di vita sociale e dalle metriche di impatto basate sugli stakeholder emergenti proprio in questo settore. Questo cambiamento destabilizza le gerarchie consolidate della creazione di valore, aprendo la strada a forme di “cittadinanza industriale” in cui dipendenti, comunità locali e territori diventano protagonisti di processi circolari. L’attuale metamorfosi dell’industria della pelle dimostra che i vettori sociali – struttura occupazionale, traiettorie di innovazione, impegni per la sostenibilità e pratiche circolari – non sono periferici, ma costitutivi della qualità dello sviluppo nel senso pieno del termine. Si tratta di segnali che annunciano profonde riconfigurazioni culturali, organizzative e territoriali, offrendo una leva fondamentale per riprogettare politiche formative e di R&S, strategie imprenditoriali e interventi pubblici verso una maggiore equità, circolarità e crescita coesa e orientare gli interventi pubblici verso obiettivi di maggiore equità sociale, sostenibilità circolare e sviluppo coeso dei territori.
References
Acker, J. (1990). Hierarchies, Jobs, Bodies: A Theory of Gendered Organizations. Gender & Society, 4(2), 139–158. https://doi. org/10.1177/089124390004002002
Amin, A., Thrift, N. (1994). Globalization, Institutions, and Regional Development in Europe. Oxford University Press.
Becattini, G., Bellandi, M., De Propis, L. (2009). A Handbook of Industrial Districts. Edward Elgar.
Benschop, Y., Verloo, M. (2011). Gender Change, Organizational Change, and Gender Equality Strategies. In Handbook of Gender, Work and Organization (pp. 277–290). Blowfield, M., Murray, A. (2008). Corporate Responsibility: A Critical Introduction. Oxford University Press.
European Commission. (2020). A new Circular Economy Action Plan: For a cleaner and more competitive Europe. COM(2020) 98 final. Brussels.
Corbisiero F., Nocenzi M., (2023). Intersezionalità e divario di genere: Un paradigma alternativo per il policy-making
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