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Sep 25 2025

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DA CPMC – Tamburini (Pres. Camera Commercio Toscana Nord-Ovest): “Il ‘vero Made in Italy’, sarà sempre elemento di fiducia per i mercati globali e garanzia di valore per il consumatore”

Il settore del cuoio deve necessariamente guardare al futuro in un’ottica di innovazione, talvolta anticipando le mode: quanto sono pronte le aziende a questi salti nel vuoto necessari?

Ritengo che la capacità di adattarsi e anticipare i cambiamenti sia nel DNA del comparto conciario ed il cuoio stesso, per sua natura, è un materiale che evolve e si rigenera anche nel linguaggio tecnico e produttivo. L’innovazione è oggi imprescindibile in ogni ambito produttivo, ma nel caso del cuoio deve essere coerente con le caratteristiche tecniche, sensoriali e funzionali che rendono il prodotto italiano un riferimento globale. Molte aziende, soprattutto quelle più strutturate e con maggiore capitalizzazione, hanno già avviato investimenti in ricerca applicata, tecnologie 4.0, automazione selettiva, utilizzo di bio-materiali e soluzioni a basso impatto ambientale, con l’obiettivo di coniugare innovazione e tradizione. Questo percorso, tuttavia, non può essere disgiunto dalla necessità di preservare le prestazioni del materiale, come la traspirabilità, la resistenza meccanica e la durabilità nel tempo. Per evitare che l’anticipare le mode si riveli un salto nel vuoto occorre in primo luogo saper intercettare i nuovi bisogni e le sensibilità del consumatore, sempre più orientato verso la sostenibilità, la trasparenza della filiera e la responsabilità etica.

Come si risponde al particolare momento della filiera conciaria?

La congiuntura attuale è senza dubbio complessa: contrazione della domanda nei mercati maturi, tensioni geopolitiche internazionali e il riposizionamento strategico del settore lusso (sempre più focalizzato su sostenibilità e razionalizzazione dei costi) stanno influenzando l’intera filiera. Il sistema conciario italiano, tuttavia, sta dando segnali di resilienza, capacità di adattamento e spirito imprenditoriale con una riorganizzazione strategica su più livelli: dall’integrazione verticale tra fornitori e clienti, all’aggregazione di imprese fino alla diversificazione degli approvvigionamenti per mitigare i rischi lungo la catena del valore. Nonostante il momento difficile, infatti, i numeri confermano la leadership italiana con il 67% del valore della produzione conciaria europea e il 25% di quella mondiale.

La parola chiave resta sostenibilità: come conciliare le esigenze d’impresa alle necessità che l’Europa impone?

La sostenibilità è oggi un parametro imprescindibile in termini ambientali, sociali e normativi. Il settore conciario, connotato spesso da una narrazione non edificante, è invece da tempo impegnato in un percorso virtuoso, con investimenti in depurazione, tracciabilità digitale, abbattimento degli scarti solidi e trattamento delle acque reflue. La regolamentazione europea, tuttavia e soprattutto in tema di definizione dei materiali rigenerati o alternativi, rischia di introdurre ambiguità che penalizzano proprio i produttori più virtuosi. Il cuoio è, per definizione tecnica, un materiale a valore circolare in quanto ottenuto dal riutilizzo di un sottoprodotto dell’industria e trasformato in un materiale di alta gamma, durevole, biodegradabile e riparabile. Questo ciclo virtuoso spesso non viene sufficientemente valorizzato nelle normative europee che rischiano di equiparare il cuoio a prodotti sintetici generando confusione nel consumatore e un danno reputazionale per l’intera f iliera. E’ necessario, dunque, che si definisca un quadro normativo stabile e armonizzato tra i diversi Paesi membri, che riconosca le specificità tecniche dei materiali naturali e incentivi le filiere che hanno già internalizzato la sostenibilità come parte del proprio modello industriale. Sono convinto che le nostre imprese siano pronte, ma serve una regia politica chiara, che non le costringa a muoversi in un contesto frammentario o penalizzante rispetto alla concorrenza extra-UE.

In un contesto globale sempre più competitivo, quanto conta oggi il valore del “saper fare” italiano nella filiera del cuoio?

Il “saper fare” italiano è senza dubbio una risorsa strategica e elemento distintivo anche della filiera del cuoio e non si tratta solo di una qualità astratta, bensì di un insieme codificato di competenze manuali, tecniche e tecnologiche che si tramandano attraverso la formazione continua, la cooperazione tra imprese, scuole professionali, centri di ricerca e la relazione organica con il territorio. Questo capitale umano di altissimo valore è sempre più sotto pressione: la delocalizzazione, le imitazioni, l’abuso del marchio “Made in Italy” minacciano la credibilità e il valore aggiunto del prodotto italiano anche se resta un vantaggio competitivo cruciale. È proprio la mano esperta dell’artigiano conciario, la conoscenza dei trattamenti chimico-fisici, la capacità di selezionare e rifinire la pelle grezza che rende ogni lotto unico e riconoscibile a livello internazionale. Per mantenere questo vantaggio, occorre investire su più fronti rafforzando la formazione professionale, aggiornando costantemente le competenze, tutelando soprattutto la proprietà industriale con l’emanazione di norme ed un sistema di controllo che rendano più stringente l’utilizzo del marchio d’origine. Il “vero Made in Italy”, quando è supportato da controlli efficaci e rigorosi standard oggettivi, continuerà ad essere un elemento di fiducia per i mercati globali e una garanzia di valore per il consumatore finale.

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