Lo scorso 26 maggio nella sede di Pozzuoli Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle materie concianti si è tenuto un workshop in occasione della Giornata Nazionale della Bioeconomia, intitolato “La sostenibilità nel lusso” promosso nell’ambito delle attività del “Cluster Spring”- Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde – ed Assobiotec.
Il prossimo 26 maggio alle ore 9.30, in occasione della Giornata Nazionale della Bioeconomia, nella sede di Pozzuoli della SSIP si terrà il workshop “La sostenibilità nel lusso” promosso nell’ambito delle attività del “Cluster Spring”- Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde – ed Assobiotec.
Negli ultimi sei mesi hanno detto che non produrranno più vere pellicce Gucci, Versace, Michael Kors, Jimmy Choo, Furla, John Galliano e Donna Karan, mentre Tom Ford e Givenchy hanno sostituito le pelli esotiche con pelo sintetico, montone e pelli bovine – considerate più etiche in quanto scarti dell’industria alimentare. Il sito di e-commerce di lusso Yoox non le vende più da un anno e sul prossimo numero della rivista InStyle la direttrice Laura Brown spiegherà in un articolo perché non ha mai pubblicato foto di pellicce dal suo arrivo, nel 2016. Intanto dal 2019 ne sarà vietata la vendita a San Francisco, mentre la Norvegia ha approvato una legge per chiudere i suoi allevamenti di animali da pelliccia entro il 2025.
Per ottenere questi risultati ci sono voluti vent’anni di manifestazioni e campagne di sensibilizzazione, iniziate negli anni Novanta con modelle che si rifiutavano di indossare pelli di animali e animalisti che protestavano alle sfilate di Calvin Klein o che lanciavano alla direttrice di Vogue americano Anna Wintour, grande appassionata di pellicce, torte di tofu. Ora il dibattito si è spostato un po’ più in là, allargandosi non solo alle preoccupazioni degli animalisti ma cercando di capire se le pellicce sintetiche siano da preferire a quelle naturali: in molti, tra stilisti e ambientalisti, sono convinti di no.
Per prima cosa le pellicce sintetiche sono fatte di acrilico che ha bisogno di centinaia di anni per essere smaltito in una discarica, contrariamente a quelle di pelo vero che sono biodegradabili, si smaltiscono in pochi anni e si possono riciclare. In generale le microfibre sono molto dannose e diversi studi hanno mostrato che le piccole particelle che le compongono si disperdono nell’acqua del lavaggio dei capi, e se non vengono filtrate finiscono negli oceani, nei corsi d’acqua e ingerite dai pesci e dagli altri animali acquatici. L’impatto può essere un po’ contenuto con particolari tipi di lavatrici, come quelle che si caricano frontalmente, e con tessuti di migliore qualità; Patagonia, nota azienda di abbigliamento attenta all’ambiente, vende una borsa per la lavatrice che aiuta a intrappolare le fibre.
Keith Kaplan, responsabile delle comunicazioni della Fur Information Council of America – un’associazione americana dedicata alle pellicce – ha parlato a Fashionista del tema dell’inquinamento prodotto dalle pellicce. Ha detto che quelle sintetiche sono molto inquinanti, mentre quelle di pelo vero aiutano a mantenere l’ecosistema di alcuni posti e a garantire profitti economici alle popolazioni indigene, che possono continuare a cacciare animali selvatici come volpi, castori e coyote.
Molti ambientalisti pensano che le pellicce sintetiche non siano la soluzione, ma sostengono che quelle di pelo vero siano ancora più dannose per l’ambiente: per le emissioni di anidride carbonica legate all’allevamento degli animali, per il letame scaricato nei laghi e nei fiumi, per la formaldeide e altri materiali tossici usati per conciare e tingere. Inoltre le trappole per cacciare gli animali selvatici finiscono per catturare anche gli animali domestici come gatti, cani, uccelli e piccoli mammiferi.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è la qualità della pelliccia e per quanto tempo la si potrà indossare prima di gettarla e sostituirla con una nuova: per questo – secondo qualcuno – sarebbe meglio comprare una pelliccia sintetica di alta qualità oppure una pelliccia di animale, i modelli più duraturi. Chi preferisce il pelo vero può optare per una in montone o pelo di agnello, che sono comunque allevati per l’industria alimentare e non solo per il pelo, come succede invece per le volpi e gli ermellini: l’impatto ambientale è minore, così come i problemi etici legati all’uso del pelo.
In questo panorama, sempre più stilisti e aziende stanno cercando soluzioni per ridurre i danni ambientali e contenere le preoccupazioni morali. Nel 2017 lo stilista Kym Canter ha venduto tutte le sue 26 pellicce e fondato House of Fluff, che realizza pellicce con materiali biodegradabili, riciclati o usando solo tessuti e pellami provenienti dall’Europa, dove le regole sulle emissioni di anidride carbonica sono più restrittive che in paesi come la Cina. La londinese Shrimps realizza cappotti in pelliccia finta e finta pelle vegana. Il marchio australiano Unreal Fur vende giacche in pelliccia dai prezzi accessibili ma di buona qualità e quindi molto durature.
Altri rifiutano consapevolmente le pellicce sintetiche. La marca londinese Mou, per esempio, le considera “inquinanti e non biodegradabili”. Inoltre, sostiene Mou, non sono traspiranti e causano cattivi odori che spesso restano attaccati al tessuto, portando chi le indossa a gettarle prima che siano davvero usurate. Le pellicce vendute da Mou sono invece di pecora, antilope, agnello, vitello e coniglio: derivano dagli scarti dell’industria alimentare e possono durare più di trent’anni. Aurora James di Brother Vellies, un marchio di scarpe e borse attento all’ambiente, vende solo vestiti e oggetti in pelle e pelliccia animale, con il compromesso di usare pelo di conigli allevati all’aperto e di animali esotici allevati, e coloranti naturali.
In tutto questo è difficile che la moda delle pellicce e degli inserti in pelo finisca a breve: piace molto ai più giovani e agli adolescenti, tra i principali clienti del mondo della moda; in particolare il mercato mondiale delle pellicce, stando ai dati dell’anno 2012-2013, vale 40 miliardi di dollari, circa 33 miliardi di euro.
Bisogna ringraziare la crescita del mercato delle auto di lusso, la cui quota è passata dal 10% al 13%. E, soprattutto, bisogna essere grati all’exploit dei modelli crossover, che nel 53% dei casi hanno interni in pelle. Fatto sta che negli Stati Uniti la penetrazione della pelle nell’automotive è passata dal 29% del 2001 al 48% del 2017. “In questo momento circa la metà delle vetture vendute negli States montano sedili in pelle”, ha detto John Sousanis di Wards Auto (società di consulenza e analisi con sede a Boston) al pubblico del Lectra Automotive Leather Conference di Bordeaux. Stando a quanto riporta Leatherbiz, lo specialista si è detta anche fiduciosa sulle prospettive di crescita del mercato, dove la pelle, soggetta a nuove lavorazioni e a nuove proposte stilistiche, può trovare maggiori spazi.
Un nuovo programma di accelerazione dedicato alle start up. Questo è La Maison des Startups, il progetto lanciato da LVMH, Louis Vuitton Moët Hennessy l’holding francese operante nel settore dei beni di lusso. L’azienda è quotata alla Borsa di Parigi, città dalla quale la sede principale controlla una sessantina di marchi di prestigio, commercializzati in tutto il mondo. I prodotti della società del Presidente del Cda e Amministratore Delegato Bernard Arnault, spaziano dai prodotti per la moda, agli accessori in pelle, con la gestione di brand come Louis Vuitton, Kenzo, Celine, Fendi, Marc Jacobs, Givenchy, Emilio Pucci, Loro Piana, fino al vino e ai liquori in genere, Moët & Chandon, Dom Pérignon brands, Hennessy.
Ogni anno La Maison des Startups ospiterà a 50 start up internazionali. L’iniziativa avrà non solo il compito di guidare l’evoluzione delle realtà partecipanti, ma le metterà anche in contatto con le griffe del gruppo, con le quali potranno inventare e sviluppare nuovi servizi e prodotti per il mercato del lusso. La Maison, in particolare, ha casa all’interno di Station F, il campus dedicato alle start up con sede a Parigi, e mette a disposizione 89 postazioni di lavoro. Il primo gruppo è entrato nel campus lo scorso novembre.
“L’innovazione è parte integrante della storia delle nostre maison, che spesso hanno secoli di storia. Questo è il motivo per cui sappiamo, forse meglio di altri, come trovare i modi per lavorare con le start up a vantaggio di tutti noi”, ha commentato Bernard Arnault, presidente e CEO di LVMH, che nei giorni scorsi, ha presentato il progetto insieme al chief digital officer Ian Rogers. Quest’ultimo ha spiegato: “LVMH ha da tempo considerato l’innovazione un valore fondamentale. L’innovazione non è solo una parola d’ordine da LVMH, è un’ossessione pratica, fondamentale per mantenere la nostra posizione di leadership a lungo termine. Collaborare con le start up ci aiuta a rimanere al passo con le opportunità di business e le modalità di lavoro. Un ecosistema di avvio sano è necessario per un’industria sana”.