Con il digitale la filiera conciaria è ancora più green
Pubblicato su CPMC 1/2021
A cura di
Fulvia Bacchi, Consigliere SSIP e Direttore UNIC
Con il digitale la filiera conciaria è ancora più green
Pubblicato su CPMC 1/2021
A cura di
Fulvia Bacchi, Consigliere SSIP e Direttore UNIC
Per ricevere informazioni riguardo l’argomento, si prega di scrivere a: doc@ssip.it
Pubblicato il: 18 Giu 2021 alle 12:57
Tra i metodi di indagine più interessanti per lo sviluppo di studi e ricerche in campo conciario, un approccio particolarmente promettente riguarda l’impiego di sistemi per l’analisi termica.
La tecnica utilizzata alla SSIP impiega un sistema accoppiato: la «Thermogravimetric Analysis» (TGA) è una tecnica utilizzata per determinare le variazioni di massa del campione in atmosfera controllata al variare della temperatura e del tempo; la «Differential Scanning Calorimetry» (DSC) è un metodo termico nel quale viene misurata, in funzione della temperatura del campione, la differenza tra i flussi termici nella sostanza ed in un riferimento, attraverso la quale è possibile determinare numerosi parametri qualificanti per molti materiali (come Temperatura/entalpia di fusione; Temperatura/entalpia di cristallizzazione; Energia e la temperatura di reazione; Temperatura di transizione vetrosa; Temperatura e l’energia di transizione di fase; Capacità termica ed il calore specifico dei campioni in esame).
Qualora a tale sistema venga associato, inoltre, un apparato rivelatore, con particolare riferimento ad uno spettrometro di massa, sarà nel contempo possibile qualificare le emissioni prodotte durante le trasformazioni termiche, con la possibilità di prevedere ulteriori applicazioni, oltre all’esame dei processi di degradazione termica, come il rilevamento di additivi in una matrice, l’analisi di reazioni chimiche, con caratterizzazione dei materiali di partenza e dei prodotti finali, studi di comportamento di assorbimento/desorbimento di molecole, ecc.
I dispositivi per l’analisi termica di campioni, molto utilizzati per la caratterizzazione di altri materiali, con particolare riferimento ai materiali polimerici di sintesi, sono di rado impiegati per indagini sistematiche sulle caratteristiche prestazionali dei cuoi, come risulta dall’analisi della letteratura scientifica di riferimento, ponendosi pertanto come approcci da sviluppare in maniera innovativa per la filiera della pelle.
Relativamente alle applicazioni in ambito conciario, sicuramente questa tipologia di approcci diagnostici può essere di grande supporto per la caratterizzazione dei polimeri di rifinizione e per lo studio delle relazioni tra la struttura di questi ultimi e le loro prestazioni, nell’ottica di individuare possibili cause di criticità e difetti, nonché per poter pianificare azioni di miglioramento ed innovazione di prodotto; la conoscenza di del grado di cristallinità dei polimeri, la determinazione della temperatura di transizione vetrosa, e più in generale dei parametri da correlare alle loro caratteristiche chimiche, strutturali e conseguentemente prestazionali, ha costituito difatti uno strumento cruciale per lo studio comparativo delle rifinizioni e per la progettazione di soluzioni migliorative ed innovative (fig1).
Tali approcci diagnostici sono inoltre potenzialmente strategici per la caratterizzazione dei cuoi, particolarmente in relazione alla possibilità di effettuare studi comparativi di stabilità termica della pelle conciata con diverse tipologie di agenti; tali studi andrebbero a completare ed arricchire le informazioni macroscopicamente ottenute attraverso la determinazione della temperatura di contrazione dei cuoi (secondo UNI EN ISO 3380:2015); la calorimetria differenziale a scansione (DSC) permette infatti di studiare i cambiamenti entalpici associati alla denaturazione del collagene, di cui la contrazione rappresenta la manifestazione macroscopica. Queste modifiche sono associate a quelle di altre caratteristiche chimiche e meccaniche del materiale, in conseguenza alla rottura di legami non covalenti che stabilizzano il collagene con l’aumento della temperatura. Alcuni studi di settore, in tal senso, sono stati avviati (Comparison of different tanning agents on the stabilization of collagen via differential scanning calorimetry. – Ersin Onem, Ali Yorgancioglu, Huseyin Ata Karavana, Onur Yilmaz- J. Therm Anal Calorim- 2017); va tuttavia rilevato che ad oggi manca una sistematizzazione delle informazioni, tenuto conto soprattutto della crescente eterogeneità di articoli da studiare, coerentemente con il crescente impiego di agenti concianti alternativi al cromo di nuova generazione.
A completare il quadro delle applicazioni di particolare interesse strategico per il settore, vi è la possibilità di impiegare sistemi di analisi termica per indagini che riguardano la caratterizzazione di idrolizzati proteici, con particolare riferimento alla possibilità di qualificare i prodotti che derivano da approcci di trasformazione e valorizzazione degli scarti conciari, ad esempio, mediante trattamenti idrolitici di tipo chimico e/o enzimatico, tematica attualmente oggetto di studi da parte della SSIP, nell’ambito di progetti dedicati alla Circular Economy. Come suggerito da alcuni studi avviati in tal senso, la tecnica è in grado non solo di consentire il monitoraggio dell’efficacia dei processi di idrolisi, ma anche di verificare l’efficacia di impego dei prodotti ottenuti in numerosi ambiti di applicazione, comprendenti applicazioni di refilling delle pelli degradate, attraverso l’impiego di idrolizzati di collagene (SEM, FTIR and DSC Investigation of Collagen Hydrolysate Treated Degraded Leather. Yang Zhang Zifan Chen, Xuegang Liu, Jiabo Shi, Hongjun Chen, Yuxuan Gong. Journal of Cultural Heritage. 2020), anche in questo caso, applicazione oggetto di studio nell’ambito di attività di dottorato di ricerca a caratterizzazione industriale, che la SSIP segue in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Elementi che concorrono in definitiva a consacrare il valore della diagnostica strumentale nello sviluppo degli scenari di innovazione di interesse per la filiera del cuoio.
Claudia Florio
Coordinatore scientifico Dipartimento di Biotecnologie Conciarie
Pubblicato il: 11 Giu 2021 alle 09:09
L’Associazione Italiana Biblioteche ha riconosciuto alla Dottoressa Carmelina Grosso, in forza alla SSIP, la qualifica professionale di ‘Bibliotecaria’.
La figura professionale possiede, dunque, i requisiti per l’iscrizione dei professionisti nell’elenco nazionale, istituito a norma dell’articolo 2 della legge 22 luglio 2014 n. 110, le necessarie competenze per valorizzare e tutelare il patrimonio esistente.
L’importante riconoscimento, grazie ai requisiti di conoscenza, abilità e competenza riconosciuti dall’AIB, consentirà alla Dottoressa Grosso di gestire i beni documentari, le raccolte librarie e tutto il patrimonio bibliografico della Stazione Sperimentale Industria Pelli.
Un deciso salto di qualità per tutta la organizzazione.
La SSIP, lo ricorda il nostro regolamento, è stato il primo istituto di istruzione tecnico/industriale e ricerca sperimentale in ambito conciario italiano, localizzato nel Mezzogiorno ed in particolare a Napoli per supportare i settori produttivi strategici di fine Novecento.
Trattandosi di un Istituto di Formazione e Ricerca, con l’emanazione della legge sul “Riordino dell’istruzione industriale”, Regio Decreto n. 302 del 3 ottobre 1909 e il Regio Decreto Legge n. 896 del 10 maggio 1917, venne dotato di un laboratorio, una Biblioteca ed un museo archeologico del cuoio. La Biblioteca comprendeva non solo testi e pubblicazioni su materie scientifiche e didattiche in genere, ma documentazione specifica del settore, e dall’epoca della fondazione fino alla prima metà del 900 si componeva di oltre 700 volumi. La Biblioteca assume un notevole ruolo strategico per la formazione, anche a seguito del Regio Decreto 31 ottobre 1923, N. 2523 sul “Riordino dell’istruzione industriale” e Ordinamento delle Regie Scuole Industriali.
La Biblioteca specializzata è andata progressivamente arricchendosi negli anni con l’aumentare e il diversificarsi dei servizi dell’Istituto, rendendo indispensabile la realizzazione di un Centro di Documentazione annesso alla Biblioteca.
Oggi ha un ruolo storico e strategico, racconta il Paese, l’universo conciario è la base solida sulla quale si basa il futuro.
A cura di Gaetano Amatruda
Giornalista – Ufficio Stampa SSIP
◊ Letture presso la Biblioteca della Stazione Sperimentale Pelli ◊
Rivista di settore: Journal of Indian Leather Technologists’ Association
La rivista “Journal of Indian Leather Technologists’ Association (JILTA)” è una delle principali testate di questo genere in India, fondata nel 1950 da Late Prof. B.M.Das.
di Luigi Nicolais
Il “Decreto Pelle” approvato recentemente rappresenta un notevole passo avanti nell’ambito della valorizzazione dei prodotti made in Italy e nella tutela dei consumatori.
Una tutela che comincia dalla semantica, definendo senza ambiguità le parole “pelli”, “cuoio”, “pelliccia” nell’industria conciaria e impedendo un uso promiscuo di tali parole per identificare prodotti sintetici (ecopelle, similpelle, vegan leather).
Etichettatura, responsabilità delle informazioni riportate in etichetta, contrassegno di garanzia e l’obbligo di dichiarare i materiali, sono le altre novità apportate dal decreto.
La lotta all’imitazione fraudolenta si combatte con l’informazione ma anche e soprattutto con le leggi che regolamentano e all’occorrenza sanzionano. Se da un lato il consumatore deve essere pienamente consapevole di ciò che acquista attraverso una indicazione chiara ed univoca dei materiali utilizzati, dall’altro le norme e le autorità preposte devono svolgere azioni di controllo e azioni sanzionatorie nei confronti di chi commette una frode.
La legge è uno strumento indispensabile in tutta la filiera della pelle, che non solo tutela il consumatore garantendo qualità e sicurezza dei prodotti acquistati ma difende anche il settore produttivo di riferimento da azioni scorrette provenienti soprattutto da imprese di Paesi esteri, sostenendo le aziende che operano nella legalità e che soffrono l’erosione di una notevole quota di mercato a favore della concorrenza sleale.
ll comparto della pelletteria è uno dei settori dove la creatività italiana è più apprezzata ma anche quella più colpita dalla contraffazione, circa un terzo del fatturato annuo del settore, infatti, è destinato al falso.
Il Decreto oggetto di questa riflessione ha anche un altro merito: quello di aver affidato mediante una Legge dello Stato una funzione pubblica delicata alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti (SSIP) nella lotta alla contraffazione.
Gli organi di accertamento possono avvalersi delle indiscusse competenze e della comprovata esperienza della Stazione Sperimentale per verificare che i requisiti di qualità del prodotto conciario siano tali da meritare l’etichetta made in Italy e che possano essere immessi sul mercato senza che sia compiuto nessun illecito.
Il ruolo della SSIP, eccellenza nel campo della ricerca, è dunque quello di verificare la conformità dei manufatti, le specifiche tecniche e accertare le eventuali violazioni o inadempienze.
La contraffazione non è solo un fenomeno che impatta sull’economia di un settore ma rappresenta un disincentivo all’innovazione, costituisce un “moltiplicatore” di illegalità che genera una pluralità di condotte illecite (lavoro nero, riciclaggio, evasione fiscale) e come tale va contrastata con gli strumenti adeguati. Il “Decreto Pelli” insieme con la SSIP pone le basi per una lotta seria alla frode nel settore conciario, tutela il consumatore e garantisce la qualità dei prodotti di pregio.
Editoriale di CPMC Magazine CPMC – Volume XCVI – Anno 2020 – 02/03 [Maggio/Dicembre]. Per leggere la rivista di SSIP clicca qui!
Si terrà domani, giovedì 20 dicembre, il terzo workshop della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli nel Distretto industriale di Solofra. L’appuntamento è alle 17:30 presso il Solofra Palace Hotel & Resort, a Solofra (AV).
Negli ultimi sei mesi hanno detto che non produrranno più vere pellicce Gucci, Versace, Michael Kors, Jimmy Choo, Furla, John Galliano e Donna Karan, mentre Tom Ford e Givenchy hanno sostituito le pelli esotiche con pelo sintetico, montone e pelli bovine – considerate più etiche in quanto scarti dell’industria alimentare. Il sito di e-commerce di lusso Yoox non le vende più da un anno e sul prossimo numero della rivista InStyle la direttrice Laura Brown spiegherà in un articolo perché non ha mai pubblicato foto di pellicce dal suo arrivo, nel 2016. Intanto dal 2019 ne sarà vietata la vendita a San Francisco, mentre la Norvegia ha approvato una legge per chiudere i suoi allevamenti di animali da pelliccia entro il 2025.
Per ottenere questi risultati ci sono voluti vent’anni di manifestazioni e campagne di sensibilizzazione, iniziate negli anni Novanta con modelle che si rifiutavano di indossare pelli di animali e animalisti che protestavano alle sfilate di Calvin Klein o che lanciavano alla direttrice di Vogue americano Anna Wintour, grande appassionata di pellicce, torte di tofu. Ora il dibattito si è spostato un po’ più in là, allargandosi non solo alle preoccupazioni degli animalisti ma cercando di capire se le pellicce sintetiche siano da preferire a quelle naturali: in molti, tra stilisti e ambientalisti, sono convinti di no.
Per prima cosa le pellicce sintetiche sono fatte di acrilico che ha bisogno di centinaia di anni per essere smaltito in una discarica, contrariamente a quelle di pelo vero che sono biodegradabili, si smaltiscono in pochi anni e si possono riciclare. In generale le microfibre sono molto dannose e diversi studi hanno mostrato che le piccole particelle che le compongono si disperdono nell’acqua del lavaggio dei capi, e se non vengono filtrate finiscono negli oceani, nei corsi d’acqua e ingerite dai pesci e dagli altri animali acquatici. L’impatto può essere un po’ contenuto con particolari tipi di lavatrici, come quelle che si caricano frontalmente, e con tessuti di migliore qualità; Patagonia, nota azienda di abbigliamento attenta all’ambiente, vende una borsa per la lavatrice che aiuta a intrappolare le fibre.
Keith Kaplan, responsabile delle comunicazioni della Fur Information Council of America – un’associazione americana dedicata alle pellicce – ha parlato a Fashionista del tema dell’inquinamento prodotto dalle pellicce. Ha detto che quelle sintetiche sono molto inquinanti, mentre quelle di pelo vero aiutano a mantenere l’ecosistema di alcuni posti e a garantire profitti economici alle popolazioni indigene, che possono continuare a cacciare animali selvatici come volpi, castori e coyote.
Molti ambientalisti pensano che le pellicce sintetiche non siano la soluzione, ma sostengono che quelle di pelo vero siano ancora più dannose per l’ambiente: per le emissioni di anidride carbonica legate all’allevamento degli animali, per il letame scaricato nei laghi e nei fiumi, per la formaldeide e altri materiali tossici usati per conciare e tingere. Inoltre le trappole per cacciare gli animali selvatici finiscono per catturare anche gli animali domestici come gatti, cani, uccelli e piccoli mammiferi.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è la qualità della pelliccia e per quanto tempo la si potrà indossare prima di gettarla e sostituirla con una nuova: per questo – secondo qualcuno – sarebbe meglio comprare una pelliccia sintetica di alta qualità oppure una pelliccia di animale, i modelli più duraturi. Chi preferisce il pelo vero può optare per una in montone o pelo di agnello, che sono comunque allevati per l’industria alimentare e non solo per il pelo, come succede invece per le volpi e gli ermellini: l’impatto ambientale è minore, così come i problemi etici legati all’uso del pelo.
In questo panorama, sempre più stilisti e aziende stanno cercando soluzioni per ridurre i danni ambientali e contenere le preoccupazioni morali. Nel 2017 lo stilista Kym Canter ha venduto tutte le sue 26 pellicce e fondato House of Fluff, che realizza pellicce con materiali biodegradabili, riciclati o usando solo tessuti e pellami provenienti dall’Europa, dove le regole sulle emissioni di anidride carbonica sono più restrittive che in paesi come la Cina. La londinese Shrimps realizza cappotti in pelliccia finta e finta pelle vegana. Il marchio australiano Unreal Fur vende giacche in pelliccia dai prezzi accessibili ma di buona qualità e quindi molto durature.
Altri rifiutano consapevolmente le pellicce sintetiche. La marca londinese Mou, per esempio, le considera “inquinanti e non biodegradabili”. Inoltre, sostiene Mou, non sono traspiranti e causano cattivi odori che spesso restano attaccati al tessuto, portando chi le indossa a gettarle prima che siano davvero usurate. Le pellicce vendute da Mou sono invece di pecora, antilope, agnello, vitello e coniglio: derivano dagli scarti dell’industria alimentare e possono durare più di trent’anni. Aurora James di Brother Vellies, un marchio di scarpe e borse attento all’ambiente, vende solo vestiti e oggetti in pelle e pelliccia animale, con il compromesso di usare pelo di conigli allevati all’aperto e di animali esotici allevati, e coloranti naturali.
In tutto questo è difficile che la moda delle pellicce e degli inserti in pelo finisca a breve: piace molto ai più giovani e agli adolescenti, tra i principali clienti del mondo della moda; in particolare il mercato mondiale delle pellicce, stando ai dati dell’anno 2012-2013, vale 40 miliardi di dollari, circa 33 miliardi di euro.